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Esotismo

Nanni da Best Explorer

Viaggiare è anche e soprattutto ricevere impressioni e sensazioni da ciò che si vive e da chi si incontra. Da sempre Nanni e l'equipaggio di Best Explorer hanno avuto particolare attenzione a raccontarci le esperienze "umane" del viaggiare e riportarci le riflessioni che queste osservazioni privilegiate danno.

Ecco quello che ci racconta oggi...

Porto di Osaka, Giappone

Stiamo entrando nel porto di Osaka. Stiamo tornando da un marina a una ventina di miglia a sud. Lì siamo riusciti finalmente a ottenere una carta che ci permetterà di navigare senza l'obbligo di compilare e far firmare piano di navigazione, lista dell'equipaggio e dichiarazione del cargo all'ingresso e all'uscita di ogni porto.

Oggi il mare è calmo e senza vento, c'è il sole, mentre ieri la giornata era uggiosa e punteggiata da scrosci di pioggia.

Abbiamo navi dappertutto. Molte sono piccole, una cinquantina di metri appena, tutte simili tra loro. Sono l'equivalente dei nostri camion e trasportano merci lungo le coste, piene di porticcioli: ogni paesino sembra averne uno, mentre sulle colline retrostanti non c'è nessuna costruzione, al contrario di quanto avviene da noi.

Dobbiamo fare molta attenzione anche perché uno dei nostri strumenti che ci informa della posizione e della rotta di ogni nave ha deciso di mettersi in sciopero.

Una enorme porta container ci sta raggiungendo e comincia a suonare la sirena. Ce l'ha con noi? Abbiamo la radio accesa, ma le conversazioni sono in giapponese.

Ci teniamo ben di lato, ma la sirena insiste. Un rimorchiatore ci raggiunge e a gesti concitati ci impone di trasferirci dall'altra parte dell'ingresso. Non ne vediamo la ragione, ma ubbidiamo lo stesso.

Ormai siamo dentro al porto. In uno dei tanti ingressi di questo enorme complesso. Davanti a noi, inquietanti moderni mostri preistorici, le rosse gru di carico delle porta container sono in attesa allineate e minacciose, come se volessero ghermirci mentre passiamo e stritolarci fameliche.

L'acqua si inoltra nel complesso portuale infilandosi in innumerevoli rami laterali oltre ai larghissimi canali principali. Più avanti riconosciamo la grande ruota del parco di divertimenti accanto all'acquario, ben visibile per i suoi colori blu e rosso.

I canali sono sbarrati da ponti stradali e ferroviari che si inarcano alti abbastanza da far passare le navi. Viene da pensare a quanto sarebbe incongruo e offensivo paragonare questa ragnatela di vie d'acqua ai canali della nostra Venezia.

Laggiù l'eleganza, l'arte, il mistero, il profumo della storia, il fetore dell'acqua stagnante, il risuonare dei echi riflessi. Qui installazioni industriali senz'anima su un'acqua giallastra e fangosa, condomini simili a torbidi alveari dove si ammassa una popolazione che sopravvive al brutto solo grazie a un'educazione civica instillata fin dalla più tenera età.

I bambini vanno a scuola tutti col cappellino a visiera dello stesso colore, scuola per scuola, accompagnati e inquadrati disciplinatamente, in attesa di attraversare la strada tutti insieme. Solo quando saranno più grandi, da ciclisti, saranno turbinosamente indisciplinati e pericolosamente spericolati: ne abbiamo perfino visti alcuni attraversare con il rosso!

Solo qui si trovano alberghi dove la camera è in realtà un loculo per dormire! Solo qui ci sono i “love hotel” con tutti gli accessori necessari per coppie regolari (e credo anche non) al fine di far l'amore nel tempo e nel periodo stabilito a priori.

Proseguiamo lungo il nostro percorso sinuoso lasciando dietro di noi l'enorme porta container che non aveva alcun bisogno di farci spostare. Un'alta fila di gru mostruose è in sua impaziente attesa dall'altro alto del canale, dove avremmo dovuto passare noi.

A sinistra lasciamo la gigantesca scritta blu dell'IKEA, siamo dentro al porto già da due miglia, mentre dietro di lei si rivela un altro canale, stretto tra le pareti di edifici industriali. Più oltre si capisce che sono le strutture di un'acciaieria: altre gru stanno caricando una delle piccole navi con rotoli pesantissimi di lamiera d'acciaio.

Passiamo sotto uno dei ponti: è sempre una strana esperienza. Dal ponte della barca è impossibile resistere alla sensazione che la cima dell'albero tocchi la campata sovrastante, questione di prospettiva e questione vagamente superstiziosa.

Questo lo consociamo bene, così come il prossimo e come quello, lunghissimo, che porta all'isola artificiale dell'aeroporto internazionale sotto il quale, con soli quattro metri di buono, siamo passati ormai sei o sette volte.

In lontananza le strutture moderne si sovrappongono e si confondono, sena personalità né valore estetico, non me ne vogliano gli architetti. Le colline verso sud e verso ovest non sono abbastanza caratteristiche da darci un riferimento riconoscibile.

Ormai dopo cinque miglia e ancora distanti dalla fine dei canali ci avviciniamo al nostro ormeggio presso il cantiere: abbiamo ancora qualche lavoretto da finire. Si tratta di due bacini per la manutenzione delle navi ormai in disuso. Uno era addirittura un bacino di carenaggio e sul fondo di entrambi sono ancora installati due grossi argani di alaggio che si capisce fossero un tempo operati con macchine a vapore.

Dietro i capannoni si vedono le linee elettriche sospese, stile orribilmente americano, che deturpano tutte le città orientali che abbiamo visto con i loro festoni. Almeno qui sono ordinate.

Nel cantiere. All'ingresso, c'è un pianoforte a coda, all'aperto, protetto da un vetro. La domenica ci sono feste con banchetti, cibo, incontri di lotte, danze: da noi li farebbero nel verde della campagna, non in uno squallidissimo cantiere.

Passano per la mente pensieri contrastanti. Dopo tanti anni passati a girare per il mondo non possiamo, né vogliamo, scrollarci di dosso la nostra italianità, ma la visione dell'immensità di questo porto, della determinazione con cui le banchine sono state ricavate riempiendo i bassi fondali del mare, dall'operosità e organizzazione silenziosa e costante di questa gente scuote profondamente il senso di superiorità e la tendenza a scusare le nostre pecche che vengono così spesso presentati come scusa per non fare.

Andate un po' in giro, confrontate i nostri porti, i nostri aeroporti, il nostro disordinato modo di vivere con quello che vedrete e con lo spirito della gente. Fra un po', continuando così, noi saremo esotici, residuo pezzente di un passato che non conosciamo neppure più, perché lo diamo per scontato senza però interessarcene davvero.

Sveglia!


 
 
 
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