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Grande fratello in barca...


[photocredit: it.freepic/photofree]

Ma dai! Best Explorer come il Grande Fratello? Ebbene si, quasi…

L’incertezza, l’imbarazzo, l’irritazione, anche, devono essere apparse chiare anche alla troupe giapponese che faceva le riprese.

Non era proprio quello che ci aspettavamo quando Anna ci aveva annunciato che TV Tokyo voleva venire in barca a fare qualche intervista.

Non era mica la prima volta che saremmo apparsi in TV e l’idea che una TV giapponese fosse interessata a noi ci faceva piacere e anche un po’ sorridere: guarda dove dobbiamo venire per essere presi sul serio!

Invece la cosa si stava rivelando molto più intima e coinvolgente e non ci sembrava mica più così divertente. Il programma, ci stavano spiegando, ogni lunedì, ed è seguitissimo, mostra cosa vengono a fare in Giappone turisti presi un po’ a caso all’arrivo in aeroporto. E’ un programma spesso umoristico, ma, forse per tranquillizzarci, dicono che può essere anche serio.

Vogliono anche venire a bordo e stare con noi qualche giorno: c’è il direttore del programma, una interprete e un cameraman. Ne possiamo ospitare solo due e solo per un paio di giorni: dalle prime riprese in barca ci rendiamo conto che filmano proprio tutto. Dobbiamo chiarire che le cabine di notte sono off limits!

Loro vogliono soprattutto seguire Anna, tanto che si sono subito precipitati a salire sullos tesso aereo che da Tokyo la portava a Hiroshima, mentre lei, che sta cominciando a mostrare i sintomi di una brutta bronchite, aveva capito che fossero interessati al nostro viaggio artico. Storicamo un po’ il naso, ma sono molto gentili e in fondo rispettosi e ci sembra brutto,ora che hanno fatto il viaggio fin qui, rimandarli indietro a muso duro.

Così si imbarcano con noi.

Non sono poi così invadenti, anche se filmano proprio tutto, anche le mie scarpe da barca sfondate e che lasciano uscire le dita (sono troppo comode e finché la suola regge…).

Diventiamo quasi amici. Scendono prima che ci inoltriamo in Shimonoseki, uno stretto tra l’isola principale del Giappone, Honsu, e la seconda grande isola a sud, Kyushu.

La differenza tra l’ampiezza delle maree dalle due parti dello stretto è significativa: tre metri da una parte e un metro dall’altra. Il risultato è una corrente di sette nodi che ci spara fuori dalle sette miglia dello stretto in un attimo (avevamo ben programmato l’ora del passaggio, ovviamente).

Di là, i giorni successivi ci fanno incontrare un tempo piovoso e uggioso e un mare impestato che mette un po’ di noi a pagliolo, ma tutto passa arrivando a Okinoshima, un’isola che serviva da confino e che ci riserva alcune sorprese.

Intanto Anna ha passato a me la bronchite e quando arriviamo al porto a mezzanotte non sono nelle condizioni migliori. I porti giapponesi sono sempre un po’ complicati, perché di solito non hanno spazio per barche da diporto, infatti troviamo un peschereccio che sembra in disuso e vi ci affianchiamo, all’interno di un moletto dall’altra parte del quale è ormeggiata una grossa vedetta della Guardia Costiera.

Non l’avessimo mai fatto! Scateniamo il panico. Dopo pochi minuti arriva tutto l’equipaggio della vedetta, comandante in testa, che comincia a interrogarmi con insistenza e a chiedermi ogni sorta di documenti, di alcuni dei quali mi ero finalmente liberato e che quindi non posso dargli: ah, meschino! I sospetti aumentano. Dopo più di un’ora finalmente, svegliato per telefono anche il nostro agente/amico di Osaka, si convincono che non siamo proprio dei criminali e ci lasciano in pace.

L’indomani il comandante a mò di scusa ci regala delle coppette di ceramica fatte da lui, mi porta in giro a vedere il suo laboratorio e un tempio con alberi millenari e mi spiega che hanno avuto proprio la settimana prima un sequestro di droga su barche da diporto e che sono in allarme sia per la vicinanza di Russia e Corea del Nord che per l’approssimarsi

del G20.

Approfittiamo dei suoi buoni uffici per fare il pieno di gasolio, non sempre agevole qui.

In Giappone la nautica è ben poco sviluppata: in maggioranza vanno a pescare e le poche barche a vela sembrano servire per regatine di club. Noi abbiamo visto di lontano un paio di barche “da viaggio”. Tutte le altre vengono di solito tirate in secco durante la settimana e vanno in mare solo quando le usano. Le procedure sono quelle per le navi e per ottenere i permessi semplificati noi abbiamo impiegato quasi un anno, perché tutti dicevano, erroneamente, che non ne avevamo diritto. Quando poi un giapponese ha detto una cosa non se la rimangia più a costo di suicidarsi, perché perderebbe la faccia, così ci mettevano in un angolo da cui non riuscivamo a uscire.

Nei marina il martedì è vacanza; meglio che non i week end come da noi, ma se non lo sai rischi di rimanere chiuso o di non poter rientrare alla barca, perché l’unico modo di farsi aprire è di telefonare alla guardia, che di solito conosce solo il giapponese…

Per il resto i servizi sono sublimi e la pulizia batte quella svizzera sei a zero, con una cortesia che non è commensurabile con lo zero dei nostri vicini transmontani.

Ora siamo nell’isola di Hookaido e ci predisponiamo spiritualmente al gran salto verso la Siberia, che si preannuncia già con un deciso abbassamento della temperatura.


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