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Sosta


Da Best Explorer, qualche miglio a ovest di Capo Celiuskin, mare di Kara, Siberia

Sapete, non c'è niente di romantico nell'affrontare una tempesta. Se ancora al caldo, al sole, il vento che fischia tra le sartie, gli spruzzi che colorano la prua con improvvisi arcobaleni e il profumo intenso dell'acqua salata possono evocare momenti di profonda eccitazione, tutto questo, quando i numeri che indicano la forza del vento cominciano ad alzarsi sopra il cinque, quando la durata della navigazione supera il paio d'ore e quando invece che di sole e temperature estive si parla di navigare fra il nevischio e sotto una cappa di nuvole basse, con visibilità ridotta a meno di un miglio, imbacuccati peggio che astronauti e con gli occhi dietro una maschera da sci per poterli tenere aperti, ebbene credetemi, non c'è davvero niente di divertente. Per cui, soprattutto qui al nord, si consultano le previsioni del tempo almeno due volte al giorno. Si ricevono via radio, non è molto semplice, ma in qualche modo ci se la cava. Arrivano sotto forma di mappe semplificate, nella forma che si è richiesta: si possono scegliere i giorni e la frequenza di aggiornamento, di solito almeno tre e almeno ogni dodici ore, i dati che interessano, sempre la forza e la direzione del vento e l'andamento della pressione. Si deve fare i conti con la dimensione del file da ricevere, perché se è molto grande i tempi di ricezione diventano insostenibili. Era da quattro o cinque giorni che le previsioni davano una zona di venti molto sostenuti da nord proprio lungo la nostra rotta. Cinquanta nodi, forza dieci! Anche se li avessimo sostenuti dai quartieri poppieri non sarebbe stata una passeggiata, ne sappiamo qualcosa! Rimaneva da capire dove ci saremmo trovati all'arrivo della tempesta, compito non banale, perché la nostra velocità, a seconda delle condizioni del mare e del vento e a seconda delle correnti incontrate può variare dalla metà al doppio. Sembrava che saremmo riusciti a raggiungere un arcipelago di alcune decine di isole, assai frastagliate. Abbiamo a disposizione un portolano dell'Ammiragliato Britannico, ma se già le sue informazioni sono sempre tarate sulle navi e non sulle barche, in queste acque poco battute riportano soprattutto le informazioni relative alle rotte principali e molto meno quelle relative alle coste e agli ancoraggi. Un po' poco. Suppliremo con l'esperienza. Con un lavoro abbastanza snervante, anche perché i testi citano nomi che non sempre riusciamo a ritrovare sulle carte, arriviamo a determinare una decina di baie dove trovare ancoraggi possibili: devono essere riparati dal vento e dalle onde da nord, che saranno certo alte, grandi abbastanza da impedire che queste ultime gli girino intorno e ci arrivino da dietro, e con fondali abbastanza ridotti da rendere facile calare l'ancora e poi salparla. Intanto si avanza, superiamo il capo più settentrionale della nostra avventura, a poco più di settecento miglia dal Polo Nord, combattiamo contro una corrente contraria di due nodi, ci affatichiamo gli occhi per evitare quei, per fortuna pochi, ghiacci galleggianti che spuntano improvvisi dalla nebbia a poche decine di metri appena davanti alla prua. Le previsioni diventano un po' meno drammatiche: la perturbazione rallenta un po' e raggiungere i ripari prima che arrivi non sarà impossibile anche se navighiamo più lentamente del desiderato. Ci attende una mezza giornata di vento assente e di mare calmo e l'ultima notte la barca naviga senza essere sballottata, ma nella nebbia fitta. Sono sette giorni che le bussole sono diventate praticamente inutili: siamo troppo vicini al polo nord magnetico, le linee di forza sono quasi verticali e se la bussola magnetica si rifiuta di muoversi dai 240 gradi, a prescindere dalla nostra vera direzione, quella elettronica del pilota automatico sembra impazzita saltando anche di 180 gradi, rendendo inutilizzabile il dispositivo e snervante tenere la ruota del timone. Per fortuna Best Explorer ha una grande stabilità di rotta. L'abbiamo scoperto solo ora: bloccando il timone viaggia per ore senza deviare di un grado dalla rotta! Anche il riscaldamento, pur dopo più di dieci anni di uso ci riserva una gradita sorpresa: la stufa si è decisa a ronfare anche con le vele alzate o col motore in funzione, non lo aveva mai fatto prima. Vi giuro che non c'è nulla che possa sostituire il sollievo di scendere in quadrato dopo le lunghe ore di guardia al gelo e potersi mettere in maglietta per riprendere rapidamente l'uso delle membra intirizzite. Alla fine, dopo la sorpresa di scoprire che i due terzi degli ancoraggi selezionati stanno in una zona di riserva naturale vietata alla navigazione, proprio prima dell'arrivo a quello rimasto disponibile nella luce pallida di un mattino piovoso, ma finalmente senza nebbia fitta, scorgiamo alla nostra destra la linea scura e bassa dell'isola che ci accoglierà. Non proprio ideale per una località di villeggiatura di successo! Tundra spoglia ormai bruna per l'autunno già arrivato, qualche sasso, niente animali né in mare né in terra. Una baia ampia un paio di miglia, ma protetta da tutte le parti. Un fondale che risale lentamente fino ai cinque metri che il redivivo ecoscandaglio ci segnala, un fondo di sabbia, come dice il portolano, che alla prova risulta ottimo tenitore, un'acqua finalmente limpida che ci lascia vedere la catena scendere gentilmente verso il basso e un mare assolutamente calmo malgrado il vento che comincia proprio adesso a farsi sentire. Spegniamo il motore e il silenzio è rotto solo dalle strida di alcune sterne disturbate dal nostro arrivo, gli unici animali presenti qui, e dal fischio provocato dal cessato rumore meccanico che ancora risuona nelle nostre orecchie. Sono le otto di mattina, ora locale, che fra poco diventeranno le sette, perché approfittiamo subito dell'interruzione dei turni per portare indietro gli orologi di un'ora per recuperare il cambio di fuso orario. Colazione, riposo, pulizia della barca, travaso delle taniche di gasolio di riserva nei serbatoi e comunicazioni varie alle autorità russe occupano il nostro tempo. Il vento si è definitivamente alzato ed è già diventato un buon forza cinque, che magari se siamo fortunati non crescerà di molto. L'elica del generatore eolico sibila caricando validamente le nostre batterie. La barca è ferma come se fosse in porto. Stanotte si dormirà come sassi. Per la prossima tratta domani vedremo, per ora la sosta si estenderà anche alle preoccupazioni della pianificazione.


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