Tredici anni in giro per il mondo a percorrere sessantamila miglia non si possono rinchiudere in un articolo, ma bisogna pure cominciare a raccontarli in qualche maniera.
Sono stati dodici anni vissuti in un modo del tutto anomalo nel panorama nautico mondiale, perché non mi risulta che ci siano altri che abbiano spezzato il viaggio per un tempo così lungo per metà in barca e per metà in patria. Né mi risulta che il viaggio sia stato un ibrido tra la vela, il charter, l’esplorazione, la ricerca scientifica e la vacanza. Quello che segue vuole essere un primo assaggio, se lo gradirete, di una serie di racconti delle nostre avventure che spero vi appassioneranno come hanno appassionato noi.
I numeri
Ai primi di Ottobre del 2019 Best Explorer, il nostro cutter di acciaio di quindici metri, è ritornato nel porto di Tromsø, a nord del Circolo Artico in Norvegia, dopo che ne era partito il primo Giugno del 2012. Il suo viaggio era cominciato nel lontano primo Luglio del 2007, quando aveva lasciato Imperia diretto verso le Colonne d’Ercole.
Da allora sotto la carena sono scivolate ben 60.000 miglia, più di 110.000 chilometri, circa un terzo delle quali intorno all’Artico e un altro terzo attraverso il Pacifico equatoriale. In questo periodo abbiamo avuto modo di battere diversi record: primi italiani ad arrivare in barca a meno di 600 miglia dal Polo e per di più con un bimbo che non aveva ancora compiuto un anno di età. Poi primi a percorrere il Passaggio a Nord Ovest e infine primi a percorrere quello a Nord Est. Va da sé che siamo stati anche i primi a compiere il periplo dell’Artico, con la chicca di essere anche i decimi in assoluto e i secondi ad averlo fatto in senso orario. Questi sono i numeri, ma raccontano solo in parte quello che questo lungo viaggio ci ha regalato.
Il Viaggio
Viaggio Senza Tempo, come dice il titolo, perché dopo la prima meta, che è stata Tromsø, si è poi dipanato guidato soprattutto dal Caso, o dal Destino, nella più pura linea delle epopee classiche degli Argonauti e di Ulisse. Viaggio che è stato solo in parte un’avventura velica, ma in larga parte qualcosa di ibrido, di straordinariamente inusuale, un’esplorazione, un’esperienza spirituale, un viaggio di scoperta di popoli, di animali e di paesaggi. Abbiamo raggiunto luoghi che pochi estranei hanno visto e abbiamo spesso gettato l’ancora senza sapere bene cosa avremmo trovato, perché la maggior parte delle coste da noi toccate non sono descritte da nessuna parte e anche le carte nautiche ne danno informazioni inadeguate. Siamo stati favoriti, questo è indubbio, dalla tecnologia, soprattutto dal GPS e dai collegamenti satellitari senza i quali avremo avuto serie difficoltà a programmare la rotta, che si è svolta in strettissime economie. Malgrado questo abbiamo avuto i nostri problemi, come le bussole impazzite per migliaia di miglia, sia nel 2012 che nel 2019, per la vicinanza del Polo Magnetico, una difficoltà non trascurabile. Per la maggior parte del tempo siamo stati in grado di evitare il tempo peggiore, senza poter schivare del tutto le tempeste, che ci hanno colpito soprattutto nell’Atlantico settentrionale e a nord dello Stretto di Bering, nel Mar dei Chukchi, con venti da uragano. Non contando i periodi di vento superiore ai trenta e ai quaranta nodi incontrati qua e là malgrado un’attenta pianificazione, quando i tratti da percorrere senza riparo superavano le cinque o seicento miglia. Parlavo del Destino, o del Caso: esso ha fatto virare la nostra prua diverse volte, la prima, fin dall’inizio, volgendola verso nord invece che verso Panama, com’era nelle nostre intenzioni iniziali. Poi di nuovo distogliendoci da Panama per indirizzarci verso la Groenlandia e il Nord Ovest. Una terza volta allontanandoci ancora da questo maledetto Canale di Panama e facendoci dirigere verso la Polinesia e l’Australia invece dell’’Europa. Infine, facendoci ritornare nell’Artico a completare il Periplo e ogni volta per circostanze imprevedibili e inattese legate ai nostri alter ego terrestri.
L’esperienza
Nella nostra peregrinazione siamo cresciuti umanamente e nauticamente tanto da non essere quasi più riconoscibili. Il maggior contributo è venuto a tutti noi sicuramente dalle persone che abbiamo incontrato, a cominciare proprio dai membri del nostro team, Nicoletta in primis, poi Filippo, e Salvatore, gli amici più stretti, con il corollario per nulla secondario delle rispettive famiglie. Una solidarietà che dura da decenni, cosa ben rara nella vita e ancor più nella nautica. Ancora: quasi tutti i membri degli equipaggi che sono passati a bordo di Best Explorer sono rimasti legati a noi da rapporti di sincera amicizia, spesso creatasi proprio a bordo, facendoci così uno dei più bei regali che una persona possa desiderare. Non avremmo mai scoperto cosa significa davvero vivere sulla Terra se non avessimo incontrato i popoli che vivono ai margini della zona abitabile, sia fisica che sociale, Inuit, Sami, Polinesiani, Melanesiani, popoli della Siberia. Sono persone che abitano luoghi con poche risorse, con climi estremi, un accesso molto limitato ai prodotti del nostro mondo, sia come quantità che come disponibilità. Abituati ancora a cavarsela da sé e stranamente dispiaciuti, al nord, che il clima stia scaldandosi, soprattutto perché limita le loro possibilità di movimento. Ci ha sorpreso la serenità dei bambini, che non abbiamo mai sentito piangere anche dopo cadute rovinose sulle strade sterrate, giocando come facevano solo i più vecchi fra noi, con bastoni e pezzi di legno, supplendo con la fantasia alla povertà dei materiali. Ci ha rallegrato la presenza degli animali, saltuaria, ma a volte abbondantissima. Abbiamo fatto incontri inattesi e incredibili, a tu per tu con bestie gigantesche curiose di noi quanto noi di loro.
Incontri tanto più soddisfacenti quanto più in totale libertà e naturalezza. Balene, orche, delfini, trichechi, orsi bianchi e innumerevoli uccelli di terra e di mare. Ci ha rattristato lo scempio di grandi estensioni del nostro pianeta, dalle ferite delle miniere a cielo aperto a quelle dell’agricoltura o dell’acquacoltura irrispettose della fragilità della natura e infine alla plastica che, in particolare in Indonesia, si distribuisce fin nei recessi più selvaggi e lontani dalla civiltà. Per non parlare dell’assenza stupefacente del pesce lungo tutte le rotte oceaniche che abbiamo percorso, particolarmente ed egoisticamente sentita anche per la mancanza di cibo fresco che neppure i più incalliti pescatori fra di noi riuscivano a procurare.
La gestione del viaggio in sé, dei rifornimenti, delle manutenzioni, delle alternanze fra gli equipaggi e naturalmente, in primissimo piano, della gestione dei rapporti tra i membri dei vari equipaggi e della loro salute sia fisica che mentale ci ha fatto crescere umanamente e tecnicamente attraverso esperienze irripetibili in condizioni di stress assolutamente uniche tra persone normali e non specificatamente addestrate a questo e di qualsiasi età, anche avanzata. Chi va in vela passa, dato un tempo e una determinazione sufficiente, attraverso alcune fasi: quella del velista, che affina la propria tecnica specificamente velica fino a diventare anche eccezionalmente bravo nel far avanzare la barca il più velocemente possibile. Poi quella del crocierista, che impara i corollari dell’andar per mare, come gli ancoraggi, il meteo, l’uso degli strumenti della navigazione, il carteggio, ecc. In seguito, quella del marinaio, che non finirà mai di imparare, che dal mare stesso apprende la natura del mare e si adegua alle sue esigenze, rispettandolo senza mai sfidarlo e infine del comandante, che in aggiunta al perfezionamento del mestiere del marinaio si carica della responsabilità della vita e del benessere del suo equipaggio. Credo che nei nostri viaggi siano questi ultimi due punti quelli che hanno avuto maggior peso per noi, in termini di crescita professionale e umana. I più bei ricordi La nostra peregrinazione ci ha portato a visitare luoghi di fascino indicibile. Al nord le coste dirupate sono tutte fantastiche, Scozia, Far Oer, Islanda, Norvegia, Svalbard, Groenlandia, isole del Nunavut scavate dalle glaciazioni e spesso ancora ghiacciate sono talmente inusuali e incombenti da emozionare sotto qualsiasi prospettiva. I ghiacci galleggianti dal pack, per quanto siano inquietanti e pericolosi, immergono l’ardimentoso in un’atmosfera magica ed eccitante mentre cerca una via d’uscita dal labirinto di lame subacquee azzurre e traditrici, accompagnato talvolta da eterei effetti ottici.
Gli iceberg, fantastici giganteschi castelli candidi ti fanno sentire un microbo e ti riempiono di austero rispetto mentre sfili loro accanto a rispettosa distanza. I silenzi ovattati, specie nelle frequenti nebbie, ti impongono di abbassare il volume della voce e non stenti a immaginare che qualche creatura proveniente direttamente dalle saghe vichinghe stia guatando i tuoi progressi celata dietro qualche sporgenza. Altrettanto entusiasmanti, in un modo del tutto opposto, sono le rocce vulcaniche delle coste della Baja California e delle isole del Pacifico e i colorati banchi di madrepore dei loro fondali, popolati da nuvole di pesci di ogni forma e colore, dalle mante gigantesche e dagli squali dalle forme elegantissime, fino ai più piccoli pesciolini che si rifugiano tra i tentacoli degli anemoni. Le infinite onde che si susseguono lungo la traccia degli Alisei immergono il navigatore che affronta le lunghe settimane dell’infinita traversata dell’immenso Pacifico in un’atmosfera eterea che lo isola e lo costringe a guardare dentro se stesso, mettendo a nudo la propria anima alla ricerca dell’essenza ultima della propria esistenza. E certo non dimenticheremo mai i popoli che abbiamo incontrato e gli animali che ci hanno usato la cortesia di mostrarsi e di sfiorare i fianchi di Best Explorer quasi a volerci accogliere amichevolmente (gli orsi polari non sempre) nel loro mondo.
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