Al Nord
Quando ero ancora un velista principiante, avido di letture e cresciuto nel mito di Slocum, rimasi colpito dal racconto di due giovani francesi che avevano raggiunto le Isole Svalbard con una barchetta autocostruita. Questa meta remota sita alle latitudini settentrionali più estreme raggiungibili navigando era diventata per me il simbolo dell’avventura, ancor più del mitico Capo Horn. Molti anni dopo avevo provato il gusto del ghiaccio nell’inverno del Baltico ed avevo ancora una volta sognato di spingermi fino a quelle isole, ma poi la vita mi diresse da tutt’altra parte e quel sogno rimase riposto in un cassetto. Ancora più tardi mi fu possibile per ben due volte visitare l’estremo sud dell’America e Capo Horn e perfino intravedere il riflesso dei ghiacci dell’Antartide, ma non mi venne un desiderio particolare di andarci. In compenso, curiosi i casi della vita, ebbi l’occasione di incontrare laggiù il figlio di uno dei protagonisti di quel mitico viaggio al nord e di scambiare con lui anche qualche chiacchera proprio nel giorno del mio sessantesimo compleanno! Un segno del destino? Veniamo a Best Explorer che a questo punto è arrivata in Norvegia. Bisogna premettere che la permanenza di un’imbarcazione in un paese straniero è normalmente limitata a un anno o meno, dopo di che diventa necessario o andarsene o importarla. Nel 2008 avevamo programmato solamente una vacanza lungo le coste norvegesi, ma avendo subito un controllo casuale da parte della Guardia Costiera, non potevamo più sperare di passare inosservati. Era diventato essenziale uscire dal paese prima di settembre, quando sarebbe scaduto il primo anno di permanenza. Così a nord com’eravamo il problema era davvero serio. O scendevamo verso la Svezia, più di 1.500 miglia distante, o ci recavamo in Russia, impensabile. Restava l’alternativa di recarsi alle Svalbard, che contrariamente a quanto si pensa non sono territorio norvegese e quindi facevano al caso nostro. Comunque si decidesse, dovevamo procurarci un equipaggio e in tempi brevissimi. La fortuna ci fu favorevole e con Nicoletta, che si era piegata malvolentieri alla necessità, preferendo allora senza dubbi il caldo, Mariele, Giuliano e un giovane montanaro svizzero ci inoltrammo nello sconosciuto Mar di Barents, andando incontro finalmente al mito, condotti dal fato.
Arrivo alle Isole Svalbard
Il Mar di Barents, vicino alla Norvegia, è decisamente antipatico. Non c’è stata una volta che non l’abbia visto arruffato. Un posto adatto a testare la propria resistenza al mal di mare.
In mezzo tra Norvegia e Svalbard c’è un’isola con un nome bellissimo: Isola degli Orsi. Anche se di orsi polari se ne possono incontrare forse solo d’inverno quando il pack saltuariamente la raggiunge. C’è anche un film drammatico che ebbe un certo successo e che porta il suo nome. Film assolutamente fuorviante, perché l’isola reale non assomiglia affatto ai panorami delle riprese. Invece è proprio scostante, senza praticamente ripari, quasi sempre avvolta nella nebbia o nella foschia e contornata da forti correnti.
A nord dell’isola il mare è ancora più freddo e si entra a tutti gli effetti in un clima decisamente artico: infatti c’è una corrente che proviene da nord est trascinando con sé una quantità di nutrienti. Da lì diventa più facile incontrare vita marina.
Quando dopo altre duecento miglia circa navigando quasi direttamente verso nord si raggiungono le isole il cielo si apre, è sempre successo così, e all’improvviso appaiono all’orizzonte orientale le creste ghiacciate dei monti meridionali, scintillanti nel sole sotto un azzurro meraviglioso.
Lì si incontrano, a volte, anche i primi ghiacci estivi.
L’emozione del loro incontro è davvero forte, anche se li avevo già visti nei canali della Patagonia, ma avere la responsabilità di portarci in mezzo la propria barca aggiunge pepe alla minestra.
Navigarci in mezzo non è proprio semplice, dipende da quanto sono fitti, peccato che la loro distribuzione sia alquanto imprevedibile.
Comunque le Svalbard sono un campo di prova fondamentale se si intende persistere nella navigazione artica, a meno, ovviamente, di non disporre di qualcuno a bordo che abbia già maturato l’esperienza necessaria.
Lì ci siamo fatti le ossa, salvo scoprire più tardi che avevamo frequentato soltanto la scuola elementare.
I panorami della costa ovest sono davvero stupendi. Solo la Groenlandia li supera. Appena giunti nei fiordi la vista dei ghiacciai che scendono in mare come immense piste da sci ci conquistò decisamente il cuore, tanto che Nicoletta cambiò radicalmente parere e ne diventò da allora una sostenitrice entusiasta. Un grande vantaggio di quelle isole sta nella facilità di raggiungerle in aereo, perché c’è un aeroporto commerciale, e nella disponibilità di facili e completi rifornimenti.
Per contro le possibilità di attracco sono molto ridotte e ci si deve aspettare di rimanere spesso all’ancora su fondali molto profondi e con la possibilità di subire seri colpi di vento.
Non ci si deve far ingannare dalla modernità dell’insediamento principale: le Svalbard fanno parte dell’Artico profondo e sono piene di pericoli, da quelli della natura stessa, ghiacciai e crepacci, scogli, tempeste, improvvisi cambiamenti del tempo, a quelli degli animali.
Gli orsi bianchi, o polari, sono i più grandi e feroci predatori esistenti e durante le nostre permanenze abbiamo dovuto apprendere tristemente di decessi dovuti a incidenti con quegli animali. Ma anche i trichechi sono pericolosi e perfino piccoli animali possono essere portatori di malattie antipatiche.
Anche la lontananza da luoghi abitati e dai soccorsi va tenuta in debita considerazione.
Tra l’altro è necessario ottenere preventivamente i permessi di navigazione dal Governatore e accettare una serie di regole, tra cui l’obbligo di portare armi adeguate con sé, prima di potere inoltrarsi più a nord dell’insediamento principale. Ma ne vale del tutto la pena.
Le isole e i ghiacci
Negli anni ci siamo spinti davvero molto a nord, raggiungendo una latitudine di oltre 80° Nord, dove pochi si avventurano anche perché ci vuole un po’ più di tempo di quello normalmente allocato per le vacanze. A meno di non andarci a bordo delle navi da crociera, ma quella è tutt’altra esperienza.
Eravamo ancorati, unica barca, ben riparati dietro una lingua morenica in un fiordo molto rinomato e piuttosto settentrionale, godendoci la solitudine.
I nostri tempi erano un po’ fuori fase, perché le 24 ore di luce estive inducono a seguire più gli impulsi del momento che l’orologio: spesso e stranamente la “notte” è il periodo più calmo e più favorevole alle gite.
Fatto sta che alle nove di mattina quel giorno eravamo ancora addormentati quando un rumore insolito ci trasse dal caldo dei piumoni, curiosi di scoprirne l’origine.
Fuori, sulla lingua di terra, era stato da poco ormeggiato un pontile galleggiante e una fila di turisti, per la maggior parte anziani, stava disciplinatamente sfilando tra due linee transennate per visitare un paio di tombe di antichi balenieri ancora visibili su quel lembo di terra, parco naturale rigidamente protetto come quasi tutto il territorio delle isole.
In mezzo al fiordo, che è, tra l’altro, costellato di scogli alcuni dei quali non segnalati, era ancorata un’enorme nave da crociera italiana che portava, come ci confermò il suo comandante, ben 4.000 persone.
L’incidente della Costa Concordia non si era ancora verificato, ma la sola presenza di quel mostro in una zona così remota e l’invasione, sia pure pacifica e ordinata, di quella massa di persone ci turbò, e mi turba ancora, profondamente.
Quella volta avevamo con noi un mio nipotino di meno di un anno, primo, credo, e forse unico italiano di quell’età a raggiungere finora simili latitudini. Non abbiate timore a portare bambini con voi. Purché siate consapevoli di quel che fate e li teniate d’occhio costantemente con opportune misure di sicurezza, la barca è un ottimo terreno di gioco: i miei figli sono praticamente nati tutti in barca e lì sono cresciuti e l’hanno amata senza esitazioni.
Più a nord ancora l’ambiente cambia. La geologia diventa meno aspra, il ghiaccio terrestre più diffuso e il mare meno mappato. Anche la presenza umana è (o era) meno diffusa.
La vita marina, gli uccelli, le foche, i trichechi, gli orsi, le renne e le volpi sono maggiormente presenti. Lì abbiamo ammirato anche delle balenottere azzurre, incontro decisamente raro.
Da quelle parti abbiamo fatto il nostro primo incontro col pack che proveniva da nord dopo una violenta sventolata passata al riparo di un piccolo arcipelago. Posto davvero estremo e isolato, dove Nelson alle prime armi ebbe l’incoscienza di andarsi a cercare il proprio orso bianco da uccidere come trofeo, incorrendo nelle ire del suo comandante e baciato comunque dalla fortuna perché almeno lui non ci lasciò la pelle.
In quelle zone si cominciano a sperimentare meravigliosi spettacoli impossibili da vedere più a sud, come l’”ice blink”, cioè una luminosità surreale del cielo che segnala la presenza lontana del giaccio marino sottostante, il magico arcobaleno bianco che si forma quando la nebbia è così fredda da essere formata da minuti cristalli di ghiaccio invece che da goccioline d’acqua oppure le corone, gli archi e i parelii causati da diffrazioni della luce solare nell’alta stratosfera.
Le aurore boreali non sono visibili d’estate, perché pur verificandosi tutto l’anno, richiedono per essere scorte che il cielo sia buio e lì ci sono 24 ore di sole fino alla fine di Agosto.
Tutta questa meraviglia si apprezza meglio (molto meglio!) se non si soffre il freddo, come lo soffrimmo il nostro primo anno. Dopo quell’esperienza ci attrezzammo con una copertura completa del pozzetto soprattutto per proteggerci dal vento. Ci cambiò la vita e ci rese definitivamente gradevole la permanenza al nord.
Trovarsi in mezzo al pack è invece un’esperienza piuttosto inquietante. Le lastre di ghiaccio, grandi a piacere, si rinserrano intorno minacciando di schiacciare i fianchi della barca e di danneggiarne irreparabilmente le appendici. Mentre fare lo slalom tra i lastroni può diventare un esilarante divertimento, se questi sono abbastanza radi, a patto di fare attenzione alle lame che si protendono sott’acqua, vedere il vento e la corrente spingerli verso lo scafo, quando questo non può allontanarsene, non è affatto piacevole né è facile districarsi.
Tuttavia è proprio alle Svalbard dove queste esperienze si possono fare in condizioni relativamente meno estreme e dove si può guadagnare quel tanto di esperienza che permette di affrontare le più impegnative acque groenlandesi e canadesi.
Qua e là lungo le coste occidentali si trovano tracce degli insediamenti dei balenieri del diciassettesimo secolo, dei trapper russi del diciottesimo e dei minatori del diciannovesimo e ventesimo. Lungo le spiagge, se si sta attenti, si possono riconoscere fossili di animali e piante e vene di minerali insieme alle morene dei ghiacciai in ritirata e ai segni del bradisismo che sta ancora sollevando le isole dopo lo scioglimento della spessa cappa glaciale. L’ambiente è delicatissimo e protetto: bisogna essere cauti perfino mentre si cammina per non disturbare non soltanto i resti archeologici, ma anche le tracce di vegetazione, soprattutto licheni e muschi, che impiegano secoli per crescere.
Il mare estivo pullula di minute creature del plankton e i curiosi uccelli marini sono dappertutto, in particolare i buffissimi pulcinella di mare. Non è impossibile incontrare vicino alla costa gruppi di bianchi beluga mentre i trichechi stanno lentamente ripopolando le acque spostandosi sempre più a sud. Sembra che la corta stagione stimoli tutti a una frenetica attività di alimentazione e riproduzione prima dell’arrivo dell’autunno.
Le sterne artiche pattugliano i dintorni dei loro nidi piombando impietosamente e dolorosamente a beccare la testa di chi si avvicina loro troppo. Al contrario gli skua, o stercorari, gabbiani predatori, che se ti avvicini troppo ai loro piccoli mimetizzati tra i licheni fingono di avere un’ala spezzata e si allontanano con grande pena: bisogna seguirli per non aumentare il loro stress e rischiare che abbandonino del tutto il nidiaceo.
Verso la fine di agosto il sole si avvicina rapidamente alle creste dei monti verso nord e in pochi giorni comincia a tramontare nel mezzo della notte. La crescita del buio è estremamente rapida e già alla fine del mese le ore di buio sono dodici, mentre il tempo si fa sempre più incerto. La maggioranza delle barche se ne va prima che il sole cominci a tramontare e sui pontili ormai liberi si possono vedere foche e volpi artiche avvicinarsi senza timore a chi ancora persiste per godere della calma assoluta, ora che anche gli uccelli di mare hanno lasciato le isole. Forse rimangono ancora per poco solo i bianchissimi gabbiani eburnei.
È ora di volgere la prua verso sud.
L’ultima stagione prima di affrontare il Passaggio a Nord Ovest ci ha visto fronteggiare una rottura irrimediabile del motore unita al cedimento della drizza di randa nuova nuova proprio mentre ci accingevamo a rientrare alla base di Tromsø. Uno stress non da poco per tutto l’equipaggio. Inaspettatamente l’emergenza ci ha regalato una delle più piacevoli veleggiate di quegli anni. Il tempo, che all’inizio sembrava mettersi al brutto, divenne splendido, tanto da permetterci di osservare da lontano per un’intera giornata l’Isola degli Orsi, sospinti da una brezza al traverso proprio giusta per spingerci alla non disprezzabile velocità di cinque nodi sotto solo fiocco per quattro giorni di fila.
Che fossero le condizioni del meteo o la fortuna, due megattere ci raggiunsero proprio allora mettendosi a giocare per ore con Best Explorer come fossero delfini. Insomma, una traversata memorabile, anche perché alla fine, rimasti in calma piatta nei fiordi, dovemmo chiedere soccorso all’unico pescatore di passaggio che ci trainò fino all’officina di un meccanico sperduta in un’isola remota lì accanto. Freddy, così si chiama, non solo ci riparò il guasto in brevissimo tempo dopo aver reperito il pezzo di ricambio, ma divenne nel successivo inverno il magico installatore del nuovo motore, necessario per la prossima impresa, e alla fine anche un nostro caro amico, rivisto con reciproco piacere all’arrivo del Passaggio a Nord Est. Le Svalbard non si libereranno facilmente di noi, perché se non ci saranno ulteriori restrizioni, contiamo di andarle a rivedere la prossima estate!
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