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Notte e giorno - Night and day


Calangaman, Filippine

Notte e giorno

Luci di stelle in cielo, luci di pescatori in mare, confuse con quelle dei paesi sulle rive e delle navi e traghetti veloci che solcano di continuo queste acque.

Intorno a me il silenzio.

Silenzio rumoroso, se si acuisce l’attenzione ormai attenuata dall’abitudine.

Il ticchettio dell’elica i cui vortici risuonano contro lo scafo ogni volta che le pale ci passano vicino, il ronfare sommesso del motore al minimo, il rombo attenuato del compressore del frigo e sopra tutto il fruscio delle piccole onde che frangono al nostro arrivo in un mare completamente calmo.

C’è una prima volta per tutto e questa è per non arrivar di notte all’ancoraggio, di cui abbiamo poche o nulle informazioni. Giunti troppo tardi a quello precedente, ormai era buio pesto, abbiamo proseguito per il prossimo, a sole venticinque miglia.

Continuando così saremmo arrivati in poco più di quattro ore, nel pieno della notte, e allora abbiamo ridotto i giri del motore al minimo: ETA (Expected Time of Arrival) le cinque di mattina, con deviazione per allungare il percorso, espediente mai usato prima d’ora.

Le guardie dovranno essere allerta, per navi, pescatori e boe: l’ultima, invisibile nel buio, ci è passata a mezzo metro di distanza.

La barca dondola appena. I pensieri possono anch’essi ondeggiare nella testa, seguendo i loro percorsi tortuosi, tra un’occhiata verso prua e l’altra.

Succede anche agli altri? Non so, non ne parliamo. Forse succederà quando sarà il momento giusto con la persona giusta. Ho sentito di recente uno dei miei più cari amici parlare in un’intervista dell’impatto emotivo profondo delle grandi traversate, un’emozione familiare che però tra di noi avevamo soltanto accennato.

Arriva l’alba. Prima che in cielo te ne accorgi perché cominci a distinguere l’orizzonte orientale. Allora aspetti che il chiarore appaia e pian piano conquisti un arco sempre più ampio di cielo e ti faccia vedere le onde. A occidente è ancora notte e passerà ancora un po’ prima che le luci della costa scompaiano.

Stiamo arrivando alla nostra meta. Una lingua lineare di roccia bordata di sabbia, coperta di palme e mal disegnata sulla carta.

Modifico la rotta per passare più distante, non si sa mai.

Vedo una barca a vela ancorata dall’altra parte, bene, la sosta è possibile. Due paletti neri compaiono appena tra noi e la barca. Prendo il binocolo e guardo. Sono persone! Stanno passeggiando su una lingua di sabbia che non avevo ancora visto! Il sonar si sveglia e mi dà una profondità di 15 metri, di botto.

Me l’aspettavo: il fondale sale da più di quattrocento metri quasi in verticale, come negli atolli.

Benedetta luce, che si fa più forte ogni minuto! Ora la lingua di sabbia è ben visibile.

Ancora non si vede il fondo. La superficie del mare è argentea dal riflesso del cielo dell’aurora.

Adesso tutto prende vita in fretta e non c’è più tempo per le riflessioni. La luce riporta alla concretezza dell’attualità.

Doppiamo la punta, attenti alla profondità. Adesso si vede il fondo: è di sabbia e teste sparse di corallo. Piano piano caliamo l’ancora in sei metri. Un lusso raro! La catena si distende delicatamente senza che i due compagni che dormono ancora si sveglino.

Spengo il motore: silenzio, questa volta totale.

Bella notte di navigazione, tranquilla, senza stress neppure per il materiale. Possiamo pensare a prendere un bel bagno per toglierci di dosso l’importuna umidità della notte prima di arrostire sotto il sole implacabile.

I fondali mostrano ancora i danni del disastroso ciclone Yolanda del 2013, ma sono in ripresa, malgrado le numerose stelle di mare “corona di spine”, le prime che incontriamo da quando siamo in Pacifico.

Il sole picchia, la vita in barca riprende. Tra un po’, una volta sazi della sosta, ripartiremo per la prossima meta temporanea a sole 16 miglia da qui, e per il prossimo bagno!


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