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Immagine del redattoreNanni Acquarone

Russi...


Murmansk, a bordo di Best Explorer

Ci sono russi e russi. Primo impatto: Mare di Okhotsk, nebbia, molto freddo, mare un po’ mosso, una nave ci si avvicina (si vede sul radar), si sente una voce parlare in russo alla radio, ovviamente non capiamo. La nave sembra che sia in rotta di collisione. Danilo accosta per evitarla. La nave manovra in modo pericoloso. Danilo manovra ancora a sua volta. La nave si mette improvvisamente di traverso alla nostra rotta e suona urgentemente la sirena. Danilo mi chiama. L’imbardata conseguente alla manovra mi ha già svegliato e sono pronto a salire sul ponte. Una voce in inglese ci intima di fermarci: la nave, ora la distinguiamo nella nebbia, è della guardia costiera. La scritta, Beregovaja Ochrana, non ci dice niente, ma si vede bene che non è né un peschereccio né una nave mercantile. Salgono a bordo da un gommone, sono due aitanti giovanotti, cominciano gli interrogatori, la presentazione delle carte, dei passaporti, le attese delle decisioni che ci riguardano. Passa un’ora, un’altra. Tornano a bordo con delle carte e un pacchetto. Amichevoli. Un cortese richiamo all’osservanza di regole che non conoscevamo. Poi il pacchetto: “Sono dei pilmini, dei ravioli russi che abbiamo appena mangiato per cena. Cuoceteli per una decina di minuti. Con i complimenti dell’equipaggio e ricordatevi di visitare Paratunka! E’ bellissima! Secondo impatto. Petropavlovsk Kamchatskiy. Yacht Club, due pontili galleggianti con barche a motore, una club house piccolina ma accogliente, un piccolo bar dove si può gustare del buon tè. Alexei ci accoglie dopo che la polizia ci ha scortato prima al porto per le pratiche di ingresso, poi allo Yacht Club, lasciandoci con la promessa di portarci un salmone fresco fresco. Sembra tutto così facile. Come fanno a dire che in Russia le cose per i diportisti sono difficili? Anastasìa ci porta a prendere le schede telefoniche, a cambiare i soldi in banca, a prendere i primi urgenti materiali per le piccole riparazioni. Inizia un periodo di tre settimane di attesa per ottenere i permessi di navigazione che credevamo avere già in tasca. Ogni regione è autonoma e rende in pratica impossibile senza un agente locale fare l’ingresso (e l’uscita) in modo semplice come qui, dove se ne è occupato Alexei. Dobbiamo accettare un compromesso: essere seguiti minuziosamente via satellite dall’FSB (il moderno KGB) lungo un rotta predeterminata dalla quale non potremo deviare se non per emergenze, ma reali, mi raccomando! Alexei, che riceve in copia tutti i nostri messaggi inviati come richiesto almeno una volta al giorno sia al controllo della Northern Arctic Sea Route che all’FSB, ci segue passo passo fino a Murmansk, facilitando tutti i nostri contatti con chi, localmente ci aiuterà per acqua, gasolio, cibo ecc. Lo soprannominiamo senza alcuna ironia il nostro angelo custode. Per tutto questo chiede un rimborso veramente ridicolo. Non so se potremo mai ricambiare! Per strada non mancano imprevisti e difficoltà. Dobbiamo ricorrere più volte a deviazioni per forza maggiore. La prima volta fino a un paesino che si chiama Tilichiki. Credo che saremo l’unica barca a vela che mai attraccherà lì, forse un giorno vi spiegheremo il perché. Certo è la prima barca italiana a farlo. Svetlana, una solida, massiccia cinquantenne russa, ci dà una mano, cara, questa volta, ma in compenso arriva in barchetta con la mamma a bordo (siamo ancorati nella laguna dove, tra l’altro, saremo urtati da una barca della guardia costiera alla deriva) con dolci e abbondante caviale di salmone. A Provideniya, deprimente paese un tempo attivissimo punto di rifornimento per le navi a vapore dirette nell’Artico, Sergei ci porta a bordo vodka e spratti in conserva e si siede a tavola a gustarli alla russa con noi. Ci fa aprire apposta il piccolo, splendido, museo locale (oserei dire che vale il viaggio) con il direttore che ci dedica tempo, attenzione e simpatia. Ci invita a una festa cittadina con canti, danze tradizionali e buffet e ci procura diesel e acqua da un rimorchiatore, assistendoci infine per la difficile operazione di disormeggio contro vento. A Pevek, dove attendono una centrale nucleare galleggiante, ci fanno visitare, credo clandestinamente, il cantiere dove si sta finendo di costruire il porto di ormeggio. Ci ospitano alla mensa del porto (gratis), riceviamo anche lì gasolio da un rimorchiatore e ci consigliano di non rifornirci lì di acqua, perché carica di minerali. Romolo, che parla russo, chiacchiera amichevolmente coi locali che gli raccontano delle attività economiche del posto centrate sull’estrazione di minerale aurifero. Unico neo: una scortesissima commessa che sbuffa a ogni nostra scelta, sbagliando apposta a servirci, mah. Tiksi. Porto militare o militarizzato. Non abbiamo il permesso di scendere a terra: due soldati o poliziotti sono di guardia sul molo per controllarci. Fa freddo e si vede dalle loro facce. Diciamo loro che non abbiamo intenzione di andare in giro: ci credono e vanno a scaldarsi da qualche parte. Ovviamente noi obbediamo. Il nostro agente ci procura gasolio e acqua, mentre noi osserviamo un po’ di nascosto le operazioni di scarico di una nave ormeggiata al molo dall’altra parte del nostro stesso bacino. Per giorni camion e altro materiale militare, evidentemente strategico, perché ci hanno raccomandato di non fare foto, viene deposto a terra e portato via. Ci aspetta la tappa più lunga e impegnativa, ma è inutile prender tempo. Oltre tutto qui non possiamo far niente, oltre a deprimerci nell’osservare la straordinaria quantità di rottami metallici sparsi per i dintorni. Il metallo abbonda e le nostre bussole, provate dalla vicinanza del polo magnetico, non sanno più dov’è il nord. Un bel problema! E’ arrivato prima dell’atteso. Prossima fermata: Murmansk a più di duemila miglia, visto che il porto di Dikson su cui contavamo per i rifornimenti ci è vietato. Questo impedimento ha messo in forse l’intero progetto prima che accettassimo il rischio di una navigazione oltre i limiti estendendo al massimo le nostre scorte di gasolio con venti taniche aggiuntive da sistemare sul ponte. Là ci attende Slavo. Un omone la cui taglia non si nota troppo per l’armonia delle sue proporzioni. Ma la mia mano, non piccola, scompare nella stretta della sua! Ci procura quello che ci serve e ci porta in giro a caricare gasolio tramite le suddette taniche, che nel frattempo erano servite tutte. Dobbiamo fare quattro giri di rifornimento e portare a mano le taniche piene in barca. Siamo ormeggiati accanto al primo rompighiaccio atomico russo, il Lenin, ora un museo, e non è concesso il transito sul gigantesco pontile galleggiante. Speriamo di non diventare fosforescenti. Visto che è con la loro acqua che riempiamo i nostri serbatoi. Slavo è il presidente di uno Yacht Club e ci porta a visitarlo. Siamo incuriositi: è su un lago a trenta chilometri a monte del profondo fiordo di Murmansk. Una totale sorpresa: un lago che si stende tra basse colline ondulate coperte di betulle dalle foglie dorate nella loro veste autunnale frammiste a snelli abeti scuri che crescono fra un sottobosco di mirtilli popolato di animali, di cui vediamo numerosi scoiattoli per nulla intimiditi dall’uomo. Il club è composto da diversi edifici in legno, tutti costruiti personalmente da Slavo, che è sicuramente un personaggio: quattro volte campione del mondo di windsurf sul ghiaccio (a vedere le foto deve essere assolutamente entusiasmante) sfoggia foto e ricordi di barche e personaggi mitici della navigazione artica, di cui mi vanto di conoscere personalmente almeno la metà. Ci sediamo nella piccola sala del club, scaldata da una notevole stufa cilindrica alta e spessa, a sorbire tè e a gustare dolci che ha comprato apposta per la nostra gita. Ci sono barche a vela ormeggiate al vasto pontile in legno prospiciente il club. Ci sono un paio di lavoranti e nessun altro: è giorno lavorativo. La pace è assoluta, i colori soffici, la brezza minima, il profumo della terra bagnata inebriante tanto che sentiamo invaderci una serenità che non avevamo provato da molti anni. Salvatore e io ci confidiamo reciprocamente il forte desiderio di passare qualche mese almeno sulle rive di un lago siffatto per depurare i nostri spiriti affaticati, mentre Gianfranco con l’aria trasognata scatta foto col suo cellulare. Slavo non farà tutto questo per niente, come invece ha fatto Alexiei, ma si vede bene che il suo supporto è comunque frutto di generosità e solidarietà e non di spirito commerciale. Tra l’altro, tutti i nostri “agenti” hanno messo a disposizione le loro personali attrezzature e l’aiuto delle loro mogli per lavare i nostri panni. Vero che siamo viaggiatori e non turisti, ma non c’era da aspettarsi tanta disponibilità e amicizia. Una conclusione? Dopo tanti anni passati a navigare lontano dall’Europa è stato molto rincuorante trovare dei costumi, dei sentimenti e delle relazioni così profondamente simili alle nostre da essere francamente sorprendenti in un paese con una storia e una geografia così diverse dalla nostra. Per loro e nostra sfortuna esistono regole e istituzioni per imporle malgrado la manifesta insensatezza e questo, certamente nel caso dei russi, ma non solo nel loro, fa loro un pessimo servizio. Ce ne andiamo da qui con il loro ricordo caldo nel cuore.


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