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Viaggio senza tempo IX - Dalle Galapagos a Tahiti


Isole Galapagos

Ci siamo ancorati qui più volte nell’ultimo mese, sempre all’incirca nello stesso punto attenti a non dare fastidio al traffico locale. È una rada piuttosto affollata e abbiamo sempre calato anche un ancorotto di poppa per mantenere la posizione, come le altre barche.


Ora che siamo pronti a salpare sono contento di andarmene: la posizione non era molto confortevole.

Siamo ormai tutti a bordo. Il nuovo equipaggio, Giampietro, Alice ed Enrico, è arrivato piuttosto provato dal caldo e dal lungo viaggio, ma si sta riprendendo bene ed è anche riuscito a vedere qualcosa dei dintorni.

La rotta per le Isole Marchesi è abbastanza semplice: in linea di massima si deve scendere verso sud per qualche grado per evitare la controcorrente equatoriale che va verso est, ma non troppo per non perdere gli alisei che si indeboliscono verso sud. Questione di sensibilità, più che di strumentazione.

Stiamo per disturbarlo

Il giorno della partenza siamo favoriti da un venticello costante che ci consente di issare subito le vele e spegnere il motore, al contrario di una flottiglia partita qualche giorno prima che ha dondolato a lungo avanzando molto lentamente.


Una buona partenza

La prima sera nel tramonto alla nostra sinistra si staglia a lungo il profilo della piccola isola Española, teatro dell’epopea di un’avventurosa famigliola di immigrati tedeschi di cui ho appena finito di leggere l’appassionante e curiosa storia.

Stiamo seguendo la stessa rotta di un buon numero di megattere e capodogli diretti chissà dove a sud. Le perdiamo di vista quando cominciamo a deviare verso ovest. Per diverse settimane non vedremo altri cetacei.

Il secondo giorno perdiamo ogni contatto con la terra. Davanti a noi ci sono tremila miglia di vuoto alla fine del quale le Isole Marchesi sono solo un pugno di granelli di sabbia buttati lì nel mezzo del gigantesco Pacifico. L’Atlantico al confronto sembra davvero piccolo: dall’Africa al Brasile c’è solo metà della distanza che abbiamo a prua.


Il Pacifico orientale è vuoto e grande!

Il vento è ben stabilito, non così la corrente che quest’anno ci sarà debolmente contraria. Non me l’aspettavo, ma è anno di un forte Niño che sta proprio cominciando adesso.

L’equipaggio sembra essersi subito ambientato e ha l’aria di essere ottimo. Ho definito le guardie e mi paiono ben equilibrate per capacità ed esperienza: rimaniamo in due in pozzetto sovrapponendoci per un’ora e mezza, con il cambio di uno di noi a metà guardia.

Come sempre Salvatore è un elemento di equilibrio e di coesione insostituibile.

Giampietro, che è sempre molto attivo, fa fatica a riposare in cabina che è troppo calda per lui e spesso si trasferisce a dormire in pozzetto. Capisco il suo disagio e ovviamente accetto la situazione, ma non ne sono molto contento. La presenza di un elemento passivo, indipendentemente dalla persona, costituisce sempre un piccolo disturbo dell’atmosfera cameratesca che si dovrebbe creare.

Enrico è anche lui un gradevole compagno, sempre allegro e disponibile. Alice, che con la sua gioventù e vivacità rinfresca tutto l’ambiente, è un’ottima timoniera ed è sempre impegnata a fare qualcosa di utile. Insomma, ho dei compagni di prim’ordine.

Prendiamo presto il ritmo e le giornate si snocciolano facilmente una dopo l’altra. Il tempo è stabile. In questi primi giorni lo stato del mare varia poco, il vento è buono e facciamo anche una buona media.

Continua a sorprendermi l’assenza d pesci volanti: non ne abbiamo visto praticamente nessuno da quando siamo partiti da Guaymas, non mi sembra normale. Alla mattina raccogliamo sul ponte solo qualche piccolo calamaro. Una bella differenza con un mio viaggio in Atlantico di una ventina di anni prima, quando i pesci volanti sciamavano davanti a noi ad ogni onda.

Ogni notte vengono a volare intorno alla barca degli uccelli che non riusciamo a vedere bene, ma che ci accompagnano finché è buio, sparendo prima dell’alba. Fanno versi molto strani, battendo il becco a raffica, un suono vagamente lugubre.

Una traversata lunga come questa e in condizioni tutto sommato favorevoli è un’esperienza significativa nella vita di molti. Ha a che fare con l’isolamento dal mondo, la routine, la coscienza della lontananza da qualunque aiuto, la coabitazione con un piccolo gruppo con personalità distinte, le lunghe ore soli con sé stessi e chissà quant’altro.

Anche il tempo varia relativamente poco: c’è un certo ritmo nella crescita del vento e delle onde. Abbiamo raggiunto ogni tanto 35 nodi di vento, non certo una tempesta, anche se le onde sono diventate belle grosse. Ma “Best Explorer” se la cava senza problemi. Quando il tempo diventa un po’ più forte per qualche quarto d’ora si rifiuta di rispondere docilmente ai comandi per poi, improvvisamente, diventare liscia e fluida per ore tanto che si può tenere la ruota con un dito. Chissà qual’è la causa, forse incontriamo dei vortici di corrente localizzati.

A un terzo della traversata ci siamo accorti di aver perso l’elica. Incredibile, visto il tipo di fissaggio del nostro meccanismo. Anche qui nessuna spiegazione semplice. Per smontarla ci vuole una leva di più di un metro. L’unica ipotesi è che qualcuno abbia provato a smontarla a Puerto Ayora per poi rinunciare per mancanza di estrattore e lasciarla senza fissaggio, ma perché? Alla partenza la spinta l’avrebbe tenuta in posizione, ma non appena inserita la marcia indietro, cosa che avevo malauguratamente fatto, si sarebbe staccata.


Risparmiando acqua

L’arrivo senza elica sarà un bel guaio, ma per ora rimuovo del tutto il problema, tanto in navigazione sarebbe impossibile montare quella di ricambio.

A parte questo, sono in totale comunione col mezzo, con l’ambiente e con i miei compagni di traversata e, a poco a poco, questa condizione senza tempo e senza confini mi penetra completamente.

Ogni qualche giorno mi dedico a scrivere una pagina di un blog da trasmettere via radio. È sempre più arduo trovare argomenti interessanti: hai voglia a descrivere il mare, le onde, la barca e le vele: se per noi ogni momento è diverso, per chi legge è sempre più o meno la stessa storia. Non mi metto di certo a inventarmi conflitti inesistenti tra noi, come fanno certe serie televisive che non potrebbero esistere senza litigi, insulti e brontolii. Insomma, sono a corto di argomenti.

Un giorno mi viene in mente come artifizio letterario di descrivere il viaggio come se fossimo immobili su un mare che cambia solo aspetto, un palcoscenico fisso con le scene delle onde, delle nuvole e del vento mutevoli intorno a noi. Non mi fosse balenata l’idea!

All'inseguimento del sole e di un sogno

Mi colpisce come un pugno l'improvvisa consapevolezza che quello che descrivevo era proprio quanto stavo realmente sperimentando. E che questa è la realtà in cui voglio ormai vivere la mia vita.

Ne rimango sconvolto. Non c’è dubbio che la navigazione sia la mia passione, ma non mi ero reso conto, fino a quel momento, che fosse diventata così totalizzante.

Ma non si può facilmente cambiare vita. Non esiste una soluzione pratica che possa conciliare la mia vita “normale” con quella desiderata. Troppi i legami, troppi i traumi. Ma il conflitto interno rimane dolorosamente vivo con conseguente perdita di un poco di equilibrio.

Non devo essere l’unico cui questo viaggio stia provocando importanti riflessioni, ma ciascuno di noi tiene per sé i propri pensieri.

Pur mantenendo una buona media facciamo più miglia sull’acqua e meno sulla terra di quello che ci aspettiamo: l’unica spiegazione è che ci sia corrente contraria. Stiamo ritardando la data di arrivo e i voli di rientro per tre di noi (Salvatore doveva rimanere con me) stanno cominciando a costituire un problema. Anche il regime del vento sta cambiando e diventando meno stabile.


Finalmente!

Più vicini alle isole Enrico cattura finalmente un magnifico tonno, la prima nostra preda. Ottimo anche per il morale. Poco tempo dopo incontriamo da vicino una coppia di capodogli. Finalmente un po’ di vita in mare! I gabbiani notturni sono scomparsi già a un migliaio di miglia dalle Galapagos. Siamo rimasti completamente soli molto a lungo: non abbiamo visto neppure una scia di aereo in cielo.

Isole Marchesi


Si avvista Hiva Oa

Una mattina , all’alba, l’isola di Hiva Oa appare proprio a prua indistinta nella foschia che, da qualche giorno, aveva cominciato a sollevarsi la mattina. Ora si tratta di trovare il modo di ancorarsi senza motore.

Siamo diretti all’ansa di Tahauku , a Hiva Oa, piccolina, che è protetta a metà da un frangiflutti, si interra verso il fondo, ha una zona interdetta all’ancoraggio perché riservata al traghetto ed è piena di almeno una ventina di barche ancorate poppa-prua.


La rada di Tahauku, a Hiva Oa

All’imboccatura bisogna prendere rapidamente una decisione. Da un paio di barche ancorate all’esterno ci incoraggiano ad ancorare vicino a loro. Io sono più incline a mettermi dove la protezione è maggiore, dietro al frangiflutti: c’è una discreta onda lunga che si vede che entra anche in rada.

Il tempo stringe. Distribuisco i compiti: tutti ai loro posti. Iniziamo una serie di virate nel vento leggero e molto variabile che soffia verso il largo mantenendo a stento la velocità necessaria: un’esitazione e andiamo a derivare e a sbattere da qualche parte. “Fondo!”. “Best Explorer” fa presa sull’ancora e si mette prua verso l’ingresso della rada. Qualcuno viene a darci una mano con un canotto, l’ancora di poppa è presto sistemata e con lei la barca si raddrizza e si sistema correttamente.


Benvenuti a Tahauku!

Un brindisi con spumante e qualche patatina fritta non ce li toglie nessuno!

Facciamo di corsa le pratiche per l’arrivo e per la ripartenza di Giampietro e Alice, che vanno via troppo presto e troppo rapidamente lasciando tra noi un grande vuoto. Sarà difficile che si ripetano le condizioni della nostra traversata, peccato!

Enrico resta con noi ancora un poco, il tempo di aiutarci a installare l’elica di ricambio e a fare una bella gita archeologica e turistica all’interno.


Rimasti senza Giampietro e Alice cerchiamo di consolarci

Salvatore e io abbiamo qualche settimana da aspettare prima dell’arrivo di Nicoletta con cui faremo rotta per Tahiti. Le usiamo per fare un po’ di amicizia con i locali e girare un po’ per le isole.


Tamburi alla festa delle scuole

Assistiamo a uno spettacolo delle scuole con meravigliose danze e tamburi tradizionali, andiamo all’isola vicina, incontrando due ragazzi nella loro piantagione di arance, siamo invitati alla cerimonia delle cresime di un villaggio, mangiamo con un’altra coppia di svizzeri giramondo e soprattutto andiamo alla spettacolosa Ua

Sculture in pietra (Tiki) a Puama'u, Hiva Oa
La rada di Hakakau a Ua Pou
Best Explorer a Hakakau
La spiaggia di Hakakau

Gli spettacolosi picchi vulcanici di Ua Pou
Centro visite di Ua Pou
Il cutter più grande del mondo

A Nuku Hiva ci sono squali in giro

Pou, dove Salvatore incontra le perniciose pulci della sabbia, e a Nuku Hiva, dove siamo annichiliti dal gigantesco cutter M5 , con l’albero, almeno allora, più alto al mondo che avrebbe potuto imbarcare “Best Explorer” di traverso sul suo ponte! A ritorno da Hiva Oa manchiamo di un soffio un’altra coppia di capodogli mentre boliniamo contro un forte sud ovest.


La rada di Hanamoenoa a Tahuata

Un tempo, quando i visitatori erano meno, si poteva entrare in maggior sintonia con i locali, anche perché forse si rimaneva più a lungo. Ora le relazioni restano più in superficie: prima di tutto sei uno di almeno qualche decina di barche che vengono qui ogni anno, mica le una o due del Passaggio a Nord Ovest quando tutti avrebbero voluto conoscerti, e poi: “tanto fra poco te ne vai per non tornare più!”, non te lo dicono, ma lo capisci benissimo.


Tramonto a Vaitahu, Tahuata

Peccato. Sono isole piene di storia, anche tragica, e piene dei resti di una cultura complessa, con la voglia e la determinazione di recuperarla almeno in parte. I tatuaggi, originari di qui, raccontano la storia della persona, ma non siamo così in confidenza da saperne di più. Troppo distanti le culture, troppo superficiale il rapporto, troppo breve il tempo.


Ragazzini a Hanamiai, Tahuata

In visita

I tatuaggi raccontano la vita della persona

Arcobaleno a Vaihatu

All’arrivo di Nicoletta partiamo per Tahiti con una sosta alla diruta Fatu Hiva, immancabile nella suggestiva e difficile baia delle diecimila vergini, originariamente verghe per via dei pinnacoli rocciosi.


Arriviamo a Fatu Hiva

Best Explorer nella Baia delle Vergini a Fatu Hiva

Le pareti verticali di Fatu Hiva

Solo le capre riescono a salirci

Almeno un giorno, sotto una pioggia martellante, lo dedichiamo a visitare la cascata nell’interno, poi via.


Un ultimo addio per ricordarci che è sempre oceano!

Mentre ci avviciniamo a Raroia, l’unica delle Tuamotu che riusciamo a visitare, riceviamo il regalo di qualche ora di oceano assolutamente a specchio. L’acqua è di un color azzurro lapislazzulo mai visto, né prima né dopo. Troppo invitante per non fermarci a fare un bagno in pieno oceano, attenti che nessuna pericolosa pinna si avvicini.


Nessuna alterazione artificiale al colore dell'acqua

Poi l’ingresso nella pass dell’atollo, lo slalom tra le coltivazioni di ostriche perlifere, una passeggiata lungo la barriera e una visita al piccolo villaggio, dove non c’è alcun ricordo della Kon Tiki, la zattera di balsa che nel 1947 arrivò qui dal Perù seguendo la mitica rotta degli Incas.


Avvistiamo Raroia

Fregate in volo

All'ancora dietro un Motu sopravvento

La barriera protegge la laguna

La barriera a bassa marea

Frangenti in pieno oceano verso Tahiti

La tratta fino a Tahiti sarebbe quasi senza storia se non includesse un incidente di pesca quando un grosso wahoo staccandosi dall’amo lo conficca nel polpaccio di Salvatore, impossibile da estrarre.

Curato subito e portato un paio di giorni dopo all’ospedale di Papeete, il tutto venne sistemato con una piccola operazione senza conseguenze.


Il porto turistico di Papeete, si torna alla civiltà moderna

Ora c’è una sosta solitaria di un mese, lasciato ancora una volta solo dal rientro in Italia di Nicoletta, prima, e di Salvatore, la settimana successiva, prima dell’arrivo del nuovo equipaggio. Occupo il tempo in una miriade di lavoretti e cercando di vivere un po’ l’ambiente di Tahiti, molto turistico.


Suonatori di strada

Il mercato

Pesci di barriera (occhio alla ciguatera!)

Passeggio dietro al porto

Tipi locali

Ci si prepara alla festa

Ho però l’occasione di assistere all’inaugurazione della Heiva, o festival di canti e danze tahitiane che mi consente di penetrare un po’ nell’atmosfera più autentica del posto.


Un magnifico tramonto con Moorea sullo sfondo

Nel porticciolo turistico al centro di Papeete faccio qualche amicizia, è facile, in particolare con un ex comandante di marina neozelandese con un aspetto così distinto che non farebbe fatica a impersonare qualche reale britannico, ma di una simpatia e cordialità eccezionali: è un navigatore solitario e sta aspettando da tempo una parte di ricambio per il rientro in patria.


L'interno di Tahiti è vulcanico e selvaggio

Alla fine, arriva il mio nuovo carico di vivace equipaggio femminile. Questa volta con Nicoletta ci sono Annamaria, Elena, Debora, Federica ed Elisabetta. Intorno a me, nel marina, monta l’eccitazione che porta addirittura a una quasi proposta di matrimonio per Elisabetta che sembra tentata, ma alla fine rifiuta. Non so se ha fatto bene: uno yankee danaroso, cortese, buon navigatore e alquanto attempato poteva essere un buon investimento a breve!


Baia di Opunohu a Moorea

Gli spettacolari picchi di Moorea

Ci spostiamo fra le isole: Moorea, Raiatea, Huaine, Bora Bora. Una più bella dell’altra, anche se Moorea resta la mia favorita. Peccato che il corallo sia in condizioni penose, salvo qualche punto isolato. Dicono che sia colpa del recente passaggio di un ciclone.


Fregata in volo a Huaine

Una passe a Bora Bora

Un pandano

Una bella vacanza che raggiunge il culmine quando partecipiamo a una gita organizzata per vedere le megattere in immersione. Una, nel risalire, ci passa a cinquanta centimetri dalle maschere! Che emozione: l’abbiamo guardata dritta nell’enorme occhio che ci osservava a sua volta.

Il rientro da Raiatea è obbligato per via di diversi scioperi che bloccherebbero lì le ragazze. Contro un’onda lunga di sei metri e un discreto vento contrario che mettono gli stomaci a dura prova ci mettiamo ventiquattrore a percorrere cento miglia, ma arriviamo in tempo.


L'oceano frange rabbioso

Ho fortunosamente trovato un rifugio per “Best Explorer” per la stagione dei cicloni: a Raiatea il cantiere non ha posto perché hanno dimezzato lo spazio a disposizione. Annamaria mi aiuta a preparare la barca che porto io stesso in solitaria nel piccolissimo umido marina, ma almeno lì è al sicuro dalle tempeste.


Il porticciolo riparatissimo di Port Phaeton

Arrivo con difficoltà all’aeroporto e m’involo verso l’Italia per rivedere la mia famiglia con una sosta tecnica nell’Isola di Pasqua, così almeno l’ho scorta, e all’aeroporto di Santiago del Cile. Ho giurato che, potendo, non passerò più dai prepotenti Stati Uniti.

Non ho ancora superato la nostalgia della vita di mare che mi si è rivelata in navigazione verso le Marchesi, ma pian piano me ne farò una ragione. Vedremo come sarà l’anno prossimo: la seconda metà del Pacifico mi attende.

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