Allora, prepariamo il Passaggio a Nord Est o no?
Non è che la decisione sia ancora definitiva, ma vale la pena cominciare a pensarci per bene. A quest’altro Passaggio ho cominciato a riflettere da molto tempo, appena ripreso fiato dal Passaggio a Nord Ovest. Mi premeva, e mi preme, mettere a frutto il patrimonio di esperienza maturata nell’Artico.
Questione di numeri, in realtà. La fresca esperienza aiuta a rappresentarsi che cosa voglia dire la preparazione di un percorso che, almeno dal punto di vista tecnico, appare analogo.
Distanze e difficoltà tecniche sono paragonabili. La grande differenza risulta subito risiedere nella necessità di ottenere i permessi dalla Russia e nell’impossibilità quasi certa di poter cambiare equipaggio per via. Non per nulla l’ha completato un numero irrisorio di barche.
Questa volta potremo contare sulla credibilità che ci siamo guadagnati con la nostra passata spedizione: riusciremo a ottenere più attenzione? La domanda è ancora attuale e ancora senza risposta.
Intanto, come tutti gli inverni, prepariamo un piano di navigazione che quest’anno prevede di risalire lungo la Grande Barriera, esplorare lo Stretto di Torres e visitare le meravigliose acque che circondano il Mar di Banda, con le mitiche terre che risuonano ancora nei miei ricordi da ragazzo, nutrito dei racconti di Sandokan. Lui, in realtà, operava un po’ più a ovest, intorno al Borneo, ma tant’è: Celebes, che ora si chiama Sulawesi, Timor, le Molucche, ora Muluku, evocano Conrad, le spezie, i pirati, che ci sono ancora, i coralli, i passaggi tormentati dalle correnti di marea imprevedibili, Slocum e i primi circumnavigatori per diporto che sono passati di lì. Non c’è che da scegliere, sicuramente sono mete con grandi attrattive che speriamo invoglino molti amici a raggiugerci.
Prevediamo un mesetto di lavori per completare la toilette a Best Explorer, che a Tahiti aveva riguardato soprattutto lo scafo. La parte del leone sarà rappresentata dalla sostituzione del sartiame, che dovrà essere sicuramente affidabile prima di affrontare di nuovo l’Artico: ha oltrepassato di certo i quindici anni di età e ha superato almeno due tempeste importanti. Per questo sarò in Australia già ai primi di aprile.
Presumo, senza sapere ancora quanto mi sbagli, che l’Australia abbia competenze tecniche di prim’ordine.
In cantiere
Ai primi di aprile del 2017 sbarco dunque a Brisbane dopo un lungo confortevole volo. La dogana e l’immigrazione sono cortesi e semplici confermando l’impressione positiva dell’arrivo dell’anno scorso. A Bundaberg sembra tutto in ordine: il responsabile della sorveglianza, Ray, ha fatto un buon lavoro. Organizzo con lui facilmente anche l’alaggio nel vicino cantiere, che si svolge con rapidità e professionalità: un ottimo inizio.
La barca a terra sembra grande il doppio mentre da sotto la controllo per accertarmi dello stato della pittura e degli anodi.
Mi affido a Ray, che si occupa anche di manutenzione, per reperire i tecnici locali per i lavori e specialmente per la sostituzione del sartiame. Voglio anche far controllare il meccanismo idraulico di sollevamento della deriva che ci aveva messo in difficoltà alle Galapagos e che avevamo corretto a Tahiti e l’impianto del gas che aveva mostrato qualche problema tra Rarotonga e le Fiji.
Siamo vicini al Tropico del Capricorno, che passa a un centinaio di chilometri più a nord, ma fa piuttosto fresco: è una sorpresa abbastanza gradevole e questo clima mi permetterà finalmente di sottoporre lo scafo a dei trattamenti conservativi che il freddo, l’umido e la mancanza di materiali e manodopera adeguata hanno dilazionato fin dal nostro viaggio in Norvegia, dieci anni fa.
Gli interventi necessari si moltiplicano: più procediamo e più troviamo cose da fare.
Ray mi mette in contatto con il rigger Colin, che si dimostrerà un eccellente professionista, l’unico, rapido, competente e di parola. Anche l’operazione complessa dello smontaggio del meccanismo della deriva è presto completata. Il pistone idraulico è corroso e bisogna cambiarlo. La previsione è che verrà cambiato in una settimana o poco più. Anche i lavoranti di Ray sono già all’opera. Sono deliziato: i costi sono alti, ma con questi ritmi saremo presto in grado di riprendere il mare!
Nicoletta, che è venuta a raggiungermi per darmi una mano, getta acqua sul fuoco del mio entusiasmo: sembra che le nostre proposte di navigazione non abbiano sortito alcun effetto.
Mentre i lavori procedono anche le mie certezze sulla professionalità dei tecnici australiani, salvo che sul rigger Colin, puntuale ed eccezionale, cominciano a vacillare. I tempi per il rimpiazzo del pistone idraulico si allungano di settimana in settimana. Una cornice metallica arcuata da sostituire con una in acciaio inox perché corrosa mi viene fornita bella dritta e ci vorranno ben due interventi, lenti e approssimativi, per ottenerla in condizioni accettabili. Il frigorifero che balbetta non è riparabile perché non corrisponde agli standard locali: te pareva! Ha almeno trentacinque anni! Il tubo del gas ha una perdita e anche qui non corrisponde agli standard locali, che noia!
I lavoranti di Ray, peraltro ottime persone cortesi, ci lasciano a bocca aperta. Uno dimostra di non essere capace di moltiplicare per due! L’altro ha bisogno che io insista a suggerire più volte la semplice manovra corretta per riuscire a svitare un dado ruotandolo nel senso giusto…
Ci prendiamo un giorno di vacanza dai lavori e dalle infernali onnipresenti pulci della sabbia e andiamo in gita alla vicina Fraser Island, la più grande isola di sabbia del mondo, per festeggiare il compleanno di Nicoletta e ammirare quel che resta della maestosa foresta primordiale. Una sosta benvenuta che mi dà l’opportunità di sperimentare senza guai la circolazione a sinistra nelle strade poco trafficate della zona.
Purtroppo non incontriamo né canguri né dingo né tantomeno koala. Gli unici animali che si mostrano sempre sono dei simpatici e vocali pappagalli grigi e rosa. I dintorni sono coperti da una sterminata coltivazione di canna da zucchero. Solo in un piccolo parco zoologico della città c’è qualche esemplare della più piccola fauna locale.
I tempi in cantiere, e i costi, si dilatano sempre di più. Ray riesce a risolvere molti problemi, incluso quello del tubo del gas, ma non i ritardi del pistone. È deprimente dover considerare una fortuna non aver ricevuto richieste di imbarco prima della Nuova Guinea, dove qualcuno sappiamo ora che arriverà.
Intanto la logistica del viaggio si complica: Nicoletta doveva arrivare direttamente in Nuova Guinea, ma ora mi dovrà invece raggiungere in Australia per portare di fretta la barca a nord, ma mi dovrò comunque arrangiare da solo per trasferirmi per seicento miglia lungo il canale tra il continente e la Grande Barriera, che così non potremo visitare! Non trovo nessuno per accompagnarmi: troppo poco preavviso.
Il pistone idraulico è infine arrivato ed è montato: è l’ultimo lavoro a essere completato prima del varo.
Finalmente proprio sul filo di lana Best Explorer entra in acqua con un mese di ritardo e con un po’ di ansia riesco a mettermi in rotta per Cairns dove ci siamo dati appuntamento.
Australia
Ho studiato con cura il percorso fino là con Ray che lo conosce abbastanza bene. L’ho diviso in tappe che posso percorrere giornalmente, perché non è consigliabile viaggiare di notte in acque dove c’è traffico né me la sentirei.
Parto bene con una bella brezza al traverso che mi porta quasi fino a Cape Capricorn, che come dice il nome è proprio sul tropico omonimo. Provo di nuovo l’ebbrezza della navigazione in libertà e comunione con la barca che avevo sperimentato alla Fiji. Se non fosse per la scarsa fiducia nella mia condizione fisica me la godrei maggiormente.
Ricordo il resto della navigazione come una settimana di gran fatica e poca soddisfazione: è dura alzarsi alle quattro di mattina per partire ancora col buio e sempre con un occhio alla progressione per arrivare prima delle cinque di pomeriggio e ancorarsi in sicurezza prima che il rapido tramonto tropicale impedisca di vedere il fondo. Tutto il tempo attenti a evitare collisioni e ostacoli senza poter riposare. Poi prendersi cura della barca e degli altri compiti necessari prima di un riposo che risulta sempre troppo breve.
A metà strada la bussola del pilota automatico comincia a fare qualche scherzo accostando improvvisamente di novanta gradi e più per tornare poi a posto. Non posso abbassare la guardia un minuto!
Immagino che sia un ulteriore regalo dell’umidità dell’inverno tahitiano che l’anno scorso ha distrutto quasi tutta la mia elettronica. Sono riuscito a sostituire un plotter e a installare un nuovo radar, ma gli interruttori non meccanici di tutto il resto sono andati a carte quarantotto: dal sistema di navigazione, log ed ecoscandaglio compresi, al sonar e perfino alle luci del quadrato, al barometro e all’orologio di bordo! Ora anche il pilota…
Il panorama del canale che sto percorrendo è una solenne delusione. L’acqua è torbida, le coste appena collinose, salvo alcuni tratti, sono punteggiate da pontili di attracco per navi che caricano minerale. La barriera è al di là dell’orizzonte invisibile a dritta e le isole sono poco interessanti. È pur vero che non ho né il tempo né il desiderio di fare il bagno: queste acque sono famose per gli squali e i coccodrilli di mare e anche se non ne vedo non vuol dire che non ce ne siano.
Alla fine l’arrivo a Cairns mi consente una bella veleggiata, che sarà l’ultima dell’anno. Ci trovo una forte corrente di marea che non mi facilita l’attracco. Prima di riposare mi rimane da organizzare le procedure per la partenza. Ricevo la sgradita notizia che gli sgravi fiscali su cui avevo contato riguardano solo il materiale e non la mano d’opera che contribuisce alla gran parte dei costi sostenuti.
Si va in Nuova Guinea
È arrivata Nicoletta!
Mi sento più sollevato: posso discutere e condividere le decisioni.
Dobbiamo prima di tutto predisporre il nostro arrivo in Indonesia, cui appartiene la parte della Nuova Guinea dove siamo diretti. Ci è stato fortemente raccomandato di evitare Port Moresby, nell’altra Nuova Guinea, per via dell’altissimo tasso di criminalità molto pericolosa.
Questi avvertimenti non sono sempre affidabili, perché sono spesso influenzati dai pregiudizi culturali che tutti abbiamo in grado e sapore diversi, ma ora non è il caso di sottovalutarli.
È un peccato, perché avevamo sperato di passare a est della grande isola e visitare le Isole Salomone, che conservano molti cimeli della seconda guerra mondiale, ma così vanno le cose…
La nostra meta sarà dunque Sorong, all’estremità occidentale, più vicina al Mar di Banda. Sfruttiamo i collegamenti internet australiani per predisporre la documentazione, complicata, per l’arrivo in Indonesia.
Poi salpiamo.
Sono ancora molto stanco e il mattino successivo un colpo di sonno ci fa rischiare una collisione che avrebbe potuto avere conseguenze fatali.
Segue un breve sentito alterco con il peschereccio che abbiamo rischiato di speronare e che ci accusa di negligenza, ma loro dov’erano? Tutti a poppa a guardare le reti mentre viaggiavano veloci e ben vicini a terra, senza AIS e senza alcuno di guardia, ed erano almeno in cinque o sei!
Si consolida la mia convinzione che il maggior pericolo in navigazione non è la natura, ma sono proprio i pescherecci seguiti a ruota dalle navi. Con buona pace delle norme per prevenire gli abbordi in mare.
A nord di Cairns la rotta passa per un canale costiero più stretto e articolato e più ricco di reef di quello a sud appena percorso. Anche il panorama è più interessante: qui non ci sono più industrie né quasi popolazione.
Non impieghiamo molto tempo per raggiungere lo Stretto di Torres. Questo è un tratto di mare piuttosto angusto largo circa ottanta miglia tra il capo York a nord dell’Australia e Buiaimuba Point a sud della Nuova Guinea. Il punto più profondo dello Stretto non supera i 18 metri e se pensate che mette in comunicazione l’Oceano Pacifico con l’Oceano Indiano… costellato di reef è sede di correnti spesso imprevedibili e perfino tumultuose. Avevamo immaginato di fare tappa a Friday Island proprio nel centro dello Stretto, ma non solo è piuttosto complicato arrivarci: ormai ce ne manca il tempo.
Cape York è scenografico: ci passiamo vicino per scelta, perché il canale costiero è meno turbolento e presenta correnti più favorevoli in questo momento. Ora affronteremo il Mar di Arafura e le mille miglia che ci restano per arrivare alla nostra meta. Si tratta di un vasto mare poco profondo che copre lo zoccolo continentale e che fa geologicamente di Australia e Nuova Guinea un unico continente.
Sarà una navigazione opprimente.
Il cielo che era rimasto sereno finora, si copre di una coltre grigia mentre quel po’ di vento che c’è proviene di prua. L’acqua è grigio pallido con sfumature giallastre. Una vera delizia!
La bussola del pilota automatico ha esalato l’ultimo respiro e ci costringe a prestare un’attenzione continua.
Dopo un centinaio di miglia cominciamo a incontrare dei pescherecci indonesiani dalle forme inusuali, lunghi, bassi e con un’alta cabina a poppa. L’estraneità delle sagome ci rende diffidenti, anche se cerchiamo di non soggiacere troppo ai pregiudizi.
Non passa molto tempo prima di incontrare i loro attrezzi da pesca. Sotto i piovaschi all’imbrunire scorgiamo all’ultimo momento una boa non illuminata e con un brivido vediamo che sostiene due file di galleggianti di traverso alla nostra rotta: sono reti derivanti!
Per fortuna abbiamo la deriva sollevata e ci passiamo sopra senza guai. Non abbiamo avuto il tempo di reagire. La barca da pesca è appena visibile a un paio di miglia all’orizzonte.
Poco prima che si faccia completamente buio passiamo accanto a un’altra boa simile, senza averla vista in tempo e ancora senza conseguenze.
Ci sono temporali in giro e non possiamo mica stare alla cappa tutta la notte!
Col buio le barche da pesca accendono le loro potenti luci da lavoro. Sono tutte intorno a noi oltre l’orizzonte e indoviniamo la loro posizione solo perché si riflettono sulla copertura di nuvole: il cielo è illuminato dappertutto e non scorgiamo alcuna zona scura che ci possa garantire di passare oltre restando abbastanza distanti. E poi: quanto distanti?
La notte trascorre lentamente mentre fra i piovaschi siamo soffocati dall’ansia di rimanere intrappolati. Il nuovo radar non indica nulla: forse non lo sappiamo ancora usare bene o forse le barche basse sull’acqua, distanti e di legno non sono un bersaglio abbastanza chiaro per questo modello tutto sommato amatoriale. Di AIS neppure a parlarne.
Finalmente arriva l’alba e con l’alba il mare si fa deserto: niente più pescherecci fino alla costa.
Più a nord la copertura nuvolosa lascia spazio a forti temporali equatoriali che si scaricano nella generale calma di vento e di mare tra zone di cielo terso. Sull’oceano passiamo una zona costellata di piccole caravelle portoghesi, quelle meduse micidiali e bellissime che galleggiano con una tasca riempita di gas, come delle grandi velelle.
Qui la piattaforma continentale ha il suo termine e l’oceano è tornato profondo. Osserviamo intorno sperando, inutilmente, di scorgere balene o delfini, ma nulla rompe più la monotonia del mare.
Ormai siamo vicini alla meta. Alcune isole coperte di foresta ci danno il benvenuto e infine, all’imbrunire, ci inoltriamo nel lungo canale naturale che porta direttamente a Sorong.
C’è traffico e bisogna stare molto attenti. Da subito vediamo che qui le imbarcazioni hanno miriadi di luci lampeggianti di tutti i colori che mascherano quelle di via e si confondono facilmente con le altre, pur rare, della costa e dei segnalamenti marittimi.
Lo stesso avviene con le decine di grossi pescherecci simili a giunche cinesi ancorati nella buia rada di Sorong. Troviamo a fatica la nostra strada e alla fine a mezzanotte diamo fondo all’ancora in venti metri, contravvenendo a tutte le regole del marinaio prudente che suggeriscono di non arrivare di notte, ma eravamo troppo stanchi e ansiosi di por fine a questa traversata per fermarci ieri sera all’inizio del canale.
Sorong e dintorni
Indonesia! Nicoletta c’è già stata a lungo, anche se non qui. Io non avrei mai immaginato di venirci, le mie mete di scelta erano tutt’altre.
Seguendo le indicazioni ricevute ci facciamo aiutare da un indonesiano che ci sa guidare tra le pratiche burocratiche. Gli assaggi di burocrazia avuti precedentemente non ci hanno adeguatamente preparato alla complicazione che troviamo qui. Però con mance minime risolviamo tutto in una giornata: Capitaneria di porto, Immigrazione, Dogana, controllo sanitario. Anche muoversi dall’ancoraggio sarebbe in teoria un problema perché siamo considerati come una nave e i giretti turistici nella mente dei burocrati non esistono proprio. Ma non è che i controlli siano così stretti, anche se il nostro AIS viene seguito e alla lunga vengono superficialmente a chiederti ragione dei tuoi movimenti.
Qui accanto c’è da un po’ una barca italiana e a bordo c’è Alice, che è stata con me nella traversata delle Galapagos e che ci dà preziosi consigli. I nostri programmi divergono, ma riusciamo almeno a passare una sera colma di racconti e di ricordi cenando insieme in barca. Molti sono stati i mei compagni di traversata e qualcuno è tornato più volte. Lei ha scelto la barca come professione e sarà difficile che si possa ripetere l’esperienza comune. Peccato, perché è stata tra i migliori compagni di bordo che ho avuto.
Non ci resta che consolidare il contatto che abbiamo stabilito qui prima di arrivare per lasciare la barca in sicurezza. È presto fatto e ci rechiamo con Wick, il proprietario di un insolito marina, per individuare il posto.
Che fantastica esperienza! Con la sua guida serpeggiamo a marea crescente rischiando l’incaglio attraverso i bassissimi fondali dell’estuario del fiume Selat Dampier, che tra l’altro non è segnato sulle carte, per poi risalirlo per cinque miglia lungo le rive coperte di mangrovie fino a una banchina di assi di legno che è Helena Marina dove sarà il nostro ormeggio. Benché Sorong conti un milione di abitanti ci sentiamo come in mezzo alla giungla o ai racconti del delta del Gange di Salgari.
Ripeteremo poi più volte il percorso con la barca e col gommone ed è una delle esperienze più gratificanti di tutti i miei viaggi.
Con l’arrivo di Mauro, amico dal primo viaggio di Best Explorer in Norvegia e di alcune amiche di Nicoletta la nostra navigazione diventa finalmente vacanza. E quest’area è sicuramente un posto ideale, malgrado alcuni risvolti non positivi.
Il clima è equatoriale, cioè molto caldo, spesso senza vento, ma con frequenti e torrenziali acquazzoni molto rafficati che rinfrescano l’aria e permettono di fare una completa fresca doccia di pulizia al naturale.
L’aria è tersa e le coste sono molto frastagliate, spesso con formazioni carsiche spettacolari, coperte di foreste che sembrano intatte, se pur non lo sono davvero.
I fondali corallini sono ricchissimi e non hanno subito i danni del passaggio dei cicloni, che qui non arrivano.
Ci sono qua e là correnti piuttosto forti e spesso i fondali sono profondi tanto da rendere difficile la sosta.
La popolazione è estremamente gentile, il cibo è buono e si trova tutto quanto si può ragionevolmente desiderare.
Si trova quasi sempre qualcuno che sa un po’ di inglese e che aiuta in caso di bisogno, ma non ci si può aspettare che la comunicazione sia sempre facile e scorrevole.
Purtroppo la vita animale nelle sue manifestazioni minute, cioè insetti e ratti, è molto presente e non è facile difendersene.
Abbiamo cominciato ad accorgerci della cosa avendo malauguratamente ritrovato a terra le pulci della sabbia, che popolano anche i prati, e raccolto un ratto, prontamente eliminato, durante una sosta a un remoto pontile.
Le amiche di Nicoletta erano in cerca di una località che soddisfacesse alcune caratteristiche necessarie per un progetto lavorativo, così ho dovuto modificare opportunamente il mio approccio abituale alla navigazione: invece di definire i programmi, la rotta e i luoghi di sosta in funzione della barca e del tempo ho fatto un po’ di esperienza cambiando le priorità per adattarmi alle esigenze “lavorative”, finendo per comprendere così un po’ meglio i problemi dei comandanti a contratto!
Questo ci ha portato però anche dei vantaggi, perché così abbiamo visitato alcuni posti notevoli in cui diversamente non sarei mai andato, come un ormeggio a una boa in mezzo a un profondo canale dove scorreva una corrente superficiale piuttosto forte e pochi decimetri sotto un’altrettanto forte e insospettabile corrente contraria che tenevano la barca in equilibrio perfetto con la cima di ormeggio incredibilmente senza alcuna tensione…
Molti sono stati gli spettacoli indimenticabili, come l’involo serale delle volpi volanti, il raro passaggio dei grandi buceri, uccelli dal becco stranissimo, o il lampeggiare sincrono delle grandi colonie di lucciole della foresta che illuminano pulsando all’unisono ciascuna il proprio intero albero.
Intanto la strumentazione si spegneva un pezzo alla volta, provata all’estremo dal clima caldo e umido, lasciandoci praticamente solo con la bussola magnetica, il GPS, il plotter e il radar. Anche il verricello dell’ancora segnalava cigolando l’avvicinarsi della propria fine.
Così siamo tornati a una sorta di navigazione all’antica, che per la poca informazione sui fondali, sia cartografica che misurata, ci ha portato ad affinare al massimo quel sesto senso che a mio parere è bene che pian piano venga a permeare le capacità del marinaio.
Alla fine, in fondo soddisfatti da questa stagione pur così colma di problemi, ma anche di belle esperienze, ci prepariamo a lasciare l’Indonesia per ritornarci l’anno prossimo in primavera, forse per il grande balzo fino in Norvegia, forse solo fino al Giappone, altro paese che non avrei mai sognato prima di visitare in barca.
Best Explorer è ormeggiata al suo pontile di assi in mezzo alle mangrovie, al sicuro da cicloni e mareggiate, sotto la sorveglianza del personale di Wick in cui riponiamo la nostra completa fiducia.
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