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Arrivo a Guaymas


Nanni

Da Santa Rosalia a Guaymas ci sono circa novanta miglia, un po' come andare da Imperia a Capo Corso, ma qui si attraversa il Mar di Cortez. Il tempo dovrebbe essere più stabile che in Liguria, ma la nostra esperienza locale è limitata e comunque ci siamo già beccati delle belle brezze imperviste. Abbiamo visto su Google Earth delle foto di capodogli prese più o meno a metà traversata e ci siamo ripromessi di metterci di vedetta per cogliere anche noi l'occasione di avvistarli. La partenza è stata dunque fissata per le due di notte. Così, anche se perderemo un po' di tempo per loro, arriveremo a Guaymas in tempo per risolvere ogni eventuale problema di ormeggio. Santa Rosalia è un piccolo borgo assolutamente messicano, costruito intorno a un'impresa mineraria, dove l'attrattiva maggiore è una chiesa in ferro costruita nientemeno che da Eiffel per un'esposizione in Belgio, acquistata e rimontata sul posto a cura del proprietario della miniera, in puro clima di relazioni lavorative stile di fine ottocento. Niente turisti, qui. Avvoltoi fanno la siesta in cima alle palme, piantate incongruamente per far tropico (qui l'unica pianta autoctona, oltre ai cespugli e il fico d'india, è il cactus) sulla passeggiata che tenta di abbellire il vecchio porto dai moli in pietra e dai pontili semi distrutti. Vicino al porto i ruderi di una fonderia di rame e i resti dei crogioli per la sua fusione. I pescatori di gamberi, su veloci barche di alluminio, sfrecciano fuori del porto a molto più dei cinque nodi permessi dai regolamenti. Quando salpiamo soffia un forte vento da terra, probabilmente analogo alla nostra tramontana. È di poppa e non ci darà troppa noia. In mare le poche luci dei pescatori e quelle di una barca salpata pochi minuti prima di noi e diretta a nord est come noi. In cielo, limpido, la luna quasi piena. Nel centro del Mar di Cortez, ormai in pieno giorno, possiamo vedere entrambe le rive. La visibilità in questi giorni è stata quasi sempre ottima. Dietro Santa Rosalia s'innalzano le sagome inconfondibili di due vulcani, spenti, credo, da tempo. La costa di fronte a noi è frastagliata e anche qui c'è un picco doppio chiamato "Tetas de Cabra" dalla sua forma puntuta, un po' a nord di Guaymas. Aguzziamo la vista e cominciamo a vedere animali in mare. Un delfino morto da un po', dei leoni di mare che dormono a pancia in su mostrando le pinne pettorali, un branco di delfini che viene ad accompagnarci per qualche minuto. E poi i capodogli. A due, a tre, anche a quattro per volta!| Soffiano verso l'avanti mentre nuotano pigri prima dell'immersione prolungata in questo mare molto profondo. Non si infastidiscono se li accostiamo e noi non stiamo a risparmiare foto e filmati. Le nostre aspettative sono pienamente soddisfatte. Più tardi Guaymas ci accoglie con falesie a picco bucherellate dal tempo e dalle bizze delle colate laviche. L'ingresso è ravvivato da un forte odore di pesce proveniente da una delle insenature dove stazionano i pescherecci, ma per fortuna non arriva vicino alla città. Anche qui sullo sfondo bastioni di rosse rocce basaltiche si alzano dietro alle case basse e colorate, piuttosto in cattivo stato, come negli altri posti poco turistici. Meglio così, per i nostri gusti sofisticati. La marina offre un solo pontile con i posti liberi nella parte più interna, probabilmente con poca profondità, ma noi ce lo possiamo permettere, con il nostro pescaggio limitato! Una discreta soddisfazione! I nostri vicini ci danno una mano per il non facile ormeggio, previsto per una barca lunga la metà di noi. Il personale del porto non fa una piega: ci vedremo domani con calma. Viva el Mexico! Domani Paolo e Bernard partiranno e resterò solo per una settimana: lavoretti da fare e informazioni da prendere ce ne sono in abbondanza per non lasciarmi in ozio. Solo un po' di tristezza per l'addio dopo un mese e mezzo di gradevole convivenza e di comuni esperienze. L'aria della sera è calda e secca e ci godiamo un ultimo pasto messicano a base di gamberi mentre il ristorante si riempie di avventori venuti a vedere un incontro di boxe trasmesso sui numerosi schermi televisivi installati per simili occasioni. I visi sono diversissimi tra loro e soprattutto lontani dalle fisionomie nordamericane. La ragazze vivaci e in genere piuttosto carine, i ragazzi magri e nervosi oppure, senza misure intermedie, obesi e gonfi di cibo spazzatura come i loro vicini del nord. Molti con tratti indios inconfondibili. Tutti con una comunicativa decisamente latina che fa piacere reincontrare. Non emana alcun senso di pericolo come invece ci si affanna a sottolineare a nord del confine per mettere in guardia i temerari turisti che si vogliono avventurare in questi posti selvaggi... Forse noi, col nostro sangue latino, ci sentiamo più a casa qui che più a nord.

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