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Nanni Acqarone da bordo di Best Explorer

Manovre


Vento, onde, rotta, ostacoli, imbarcazioni, velocità, attrezzatura. Questi sono alcuni dei fattori che spingono ad effettuare le manovre sulla barca. Le manovre, ossia per esempio issare o ammainare le vele, virare, strambare, terzarolare: quanti nomi strani! Le barche sono piene di nomi strani, potrebbero addirittura affondare sotto il loro peso, tanti ce ne sono. C'è una ragione per questo: bisogna capirsi al volo, senza confusioni. Tempesta, vento che urla nelle vele, onde che si rovesciano furenti sul ponte, magari è notte, la costa sottovento si avvicina: non ci si può sbagliare. Così per ogni vela, ogni "corda" che in mare, se si vuole usare un termine generico, è rigorosamente chiamata "cima", c'è un nome specifico, così è anche per ogni manovra che si vuole fare quando c'è di mezzo la vela. Quante se ne fanno! Basta assistere a una delle spettacolari regate di Coppa America per immaginare la complessità, la fatica, il numero delle manovre che vengono compiute di continuo.

Ma non è mica sempre così!

Noi dobbiamo navigare per più di tremila miglia per raggiungere le isole Marchesi partendo dalle isole Galapagos. Tremila miglia di oceano lungo le quali sarà un vero miracolo se vedremo un'imbarcazione da lontano. Tremila miglia, cinquemila cinquecento chilometri di mare deserto, col vento che soffia più o meno dalla stessa parte, le onde che fanno lo stesso. Il vento ogni tanto rinforza, cambia un po' direzione, le onde ogni tanto si ingrossano, cambiano un po' aspetto, un po' direzione. Insomma, una discreta uniformità. Così abbiamo issato le vele, tre, per la precisione, le abbiamo regolate perché ci dessero il massimo della spinta per la direzione in cui vogliamo andare e ce ne siamo quasi dimenticati: più niente manovre, o quasi. E sì, ogni tanto ne abbiamo regolato la tensione, ogni tanto abbiamo ridotto la dimensione di qualcun'altra (questo si chiama terzarolare), ogni tanto ne abbiamo calata qualcuna (si dice ammainato) per verificarne la condizione e poi l'abbiamo issata nuovamente. Nient'altro. Oh, sì: abbiamo costantemente tenuto in mano il timone e condotto la barca nella giusta direzione. No, non abbiamo un timone a vento né usiamo un timone automatico. Ci sono molte buone e solide ragioni per questo, ma sono molto tecniche e vi annoierebbero. Forse in futuro riusciremo a dotarci di un sistema che ci permetta di stare a guardare mentre la barca fa tutto da sola, ma non ci siamo ancora arrivati. E timonare (governare) qualche volta è difficile e faticoso, soprattutto di notte e col mare ben formato. Lui, finora, non è stato molto cattivo: ci è venuto dietro con onde non più alte di quattro metri, un'inezia. Ma basta per renderci difficile il compito, che impegna ciascuno di noi cinque per quattro o cinque ore ogni giorno (e notte). Qualche volta, come oggi, è anche molto divertente. Le onde erano alte, il vento gagliardo, il sole splendete, l'oceano blu cobalto, la barca filava a otto nodi, una bellezza; per lunghi periodi la direzione del vento e quella delle onde lasciavano lo scafo tranquillo e il timone si poteva regolare con un dito, godendosi l'entusiasmo della barca che scivolava eccitata davanti all'onda con un fremito che si sentiva fin con le piante dei piedi, sollevando alte due onde bianche di spuma ai lati della prua per accomodarsi come soddisfatta nel cavo lasciato dietro di sé dalla stessa onda, più veloce di noi. Poi, dispettoso, l'oceano decideva di cambiare un po' i fattori: onde un po' più vicine, vento da una direzione un po' diversa, magari un po' più forte o un po' più debole, poco poco, ma sufficiente perché il magico equilibrio si spezzasse e il povero timoniere dovesse lottare girando la ruota del timone a dritta e a sinistra per decine di minuti con energia e tempismo per anticipare a dovere i movimenti quasi imbizzarriti dello scafo e mantenerlo in rotta. E se sbagliava allora o le vele sbattevano senza più vento, col pericolo reale e serio che il vento le prendesse invece al contrario (si dice: le sventasse) e facesse dei danni, oppure la barca accelerava nella direzione sbagliata, il vento ci sbatteva la spuma in faccia e il timone, per quanto ci si appoggiasse sopra con tutto il peso, sembrava non avere per lunghi secondi alcun effetto sulla nostra direzione. Be', tutto sommato anche se non manovriamo molto le vele come in Coppa America, di manovre ne facciamo abbastanza per tenerci in forma, o no?

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