Nulla ci aveva preparato a questo: un prato all'inglese in barca! Ora vi racconto com'è andata. Come sempre, prima di partire ci eravamo informati ben bene sulle Galapagos e il nostro dossier si era riempito di informazioni. Burocratiche, prima di tutto, le più temibili. Poi sugli ancoraggi, piene di avvisi sul'onda lunga che vi penetra, sulle difficoltà di accesso di alcuni, sulle tariffe dei taxi d'acqua. Altre notizie sui rifornimenti e la loro difficoltà, altre sui luoghi interessanti da visitare. Poi perfino sui dettagli della geologia, pensate! Il clima: acque fredde da maggio, piogge prima; gli animali, naturalmente, quelli per cui le isole sono famosi. Ma mai nulla, da nessuna parte, ci aveva preparato alla sorpresa che le acque sempre in movimento degli ancoraggi ci avevano riservato. Dopo un paio di settimane abbiamo cominciato a notare distrattamente che la linea di galleggiamento dello scafo stava cambiando colore. C'era lì vicino il relitto di una nave, appena arenatasi, carica di roba da mangiare che stava marcendo e che, quando il vento disgraziatamente tirava dalla sua parte, ci riempiva di puzza e di moschini. Sarà roba che viene da lei, abbiamo pensato. Prima di andar via la ripuliremo. Intanto erano arrivati altri amici ed eravamo salpati per l'isola vicino. Sui taxi d'acqua che ci portavano a terra si saliva in "boat sharing" e non abbiamo potuto evitare di ascoltare la conversazione di un gruppo di inglesi molto snob scesi da un imponente veliero di lusso che facevano commenti sulla necessità di sottoporre a verifica sanitaria quella povera barca di pezzenti. Cribbio! Parlano della nostra! Un commento acido, in inglese impeccabile, su chi non si fa i fatti suoi li tacitò, ma un'occhiata a Best Explorer ci fece vergognare. La linea d'acqua non era più visibile: al suo posto una striscia di una ventina di centimetri verde brillante fasciava tutta la carena, sormontata da un alone bruno sfumante sul nerastro che faceva sembrare la nostre amata barca un quasi relitto proveniente direttamente dalla "Ballata del vecchio Marinaio" di Coleridge. Non vi dico la fatica di ripulirla!
Tralasciando di occuparci dello scafo sott'acqua, ricoperto da una pelliccia continua di alghe che speravamo, con ragione, che sarebbero state spazzate via automaticamente una volta cominciato a veleggiare sul serio, abbiamo lavorato per diversi giorni con raschietto e spazzola per grattare via lo strato tenacissimo che si era radicato stabilmente sulla carena dove arrivava l'onda sempre presente negli ancoraggi. In questa selva rigogliosa la cosa più sorprendente era la presenza di legioni di granchietti che erano arrivati lì chissà come. Nuotavano benissimo! Ogni volta che il raschietto o la spazzola si avvicinavano tentavano di scappare verso l'alto, da dove li sloggiavamo con la mano e una buona dose di acqua di mare. Allora li vedevi sott'acqua muovere freneticamente le otto zampette per attaccarsi alla superficie più vicina, che spesso era la nostra pelle. Non vi dico il solletico! Un altro abitante della selva, subdolo e viscido, era un tipo di verme/sanguisuga color bruno scuro aggrappato alla carena in modo incredibilmente efficace, che non si riuscivamo togliere che con ripetute passate del raschietto in direzioni diverse. La fascia bruna sovrastante, evidentemente composta da un altro tipo di alghe, si lasciava invece eliminare con una semplice passata di mano e infine la barca ritrovava la sua decente fisionomia originale. Il problema era che la nostra cura durava due o tre giorni al massimo e che ormai che avevamo notato il fenomeno, ci sentivamo moralmente obbligati a intervenire ai primi sintomi del ritorno del prato. Ora che siamo in navigazione da quasi tre settimane siamo ossessionati dal pensiero che il fenomeno si stia ripetendo anche qui in navigazione. Non siamo in grado di comtrollare quella parte di carena dal ponte, ma il sospetto ci attanaglia, perché c'è un granchietto che ci insospettisce: risale nel lavandino dallo scarico che dà proprio sulla linea d'acqua, come per prendersi gioco di noi e mostrarci che non siamo riusciti affatto a liberarci del prato e dei suoi abitanti. Così come stanno facendo quella decina di pesciolini delle Galapagos che hanno trovato rifugio nella cassa della deriva e che si vedono tranquillamente nuotare nelle sue acque relativamente calme sullo sfondo blu dell'oceano sottostante, pronti a esplorare anche loro i dintorni delle Isole Marchesi.