Se lo si guarda dall'alto l'oceano è sicuramente una superficie a due dimensioni Se invece lo si osserva dal ponte di una barca le dimensioni si moltiplicano. In una giornata di sole, come oggi, la prima cosa che si nota è la dimensione del colore. Blu cobalto punteggiato di bianco, col sole allo zenit guardando verso poppa. Sono i marosi che il vento gagliardo strappa alle onde. Il colore diventa gradualmente di argento mentre lo sguardo si gira verso prua, dove i dorsi di quelle stesse onde riflettono la luce con grande intensità. Ma le creste delle onde che, ripide, si avvicinano alla poppa si arricciano talvolta in una voluta sottile che nella trasparenza prende un brillante colore di acquamarina: ecco da dove viene il termine! Il cielo è invece azzurro pallido pennellato dal bianco delle nuvole. La seconda dimensione è data proprio dalle onde ed è una dimensione dove il dinamismo regna sovrano. Riuscite a immaginarle, voi terragnoli, senza averle mai viste, le onde dell'oceano? Come potreste. Quelle del mare di casa nostra, viste da terra o dal mare, indifferentemente, non assomigliano loro minimamente. Queste nostre sono in continuo imponente cambiamento. Ce ne sono diverse che si intrecciano, si sovrappongono, si sommano e si cancellano vicendevolmente, un po' qui, un po' là. Onde lunghe, lunghissime, maestose, rotolano possenti e veloci dalle lontane tempestose regioni meridionali. Sono ondulazioni lisce e morbide, alte molti metri, ma così lunghe che è difficile coglierne la dimensione, distribuita così sulle molte centinaia di metri che passano tra una cresta e la successiva. Sopra di loro si avventano quasi rabbiose quelle corte alte e ripide generate dal vento vicino. La terza dimensione. Le vedi innalzarsi sopra quelle più lunghe in monticelli effimeri che coprono orizzonte per un attimo e si dissolvono subito nell'avvallamento retrostante. Creano dei piccoli muri d'acqua che inseguono la nostra poppa che fugge nel letto del vento. Due, tre metri di acqua quasi verticale che appena ci raggiungono sollevano la poppa e ci passano sotto senza colpirci, come domate, per proseguire col dorso più attenuato davanti alla nostra prua. La superficie, quella vera, rabbrividisce sotto la spinta del vento. Ancora non è allineata in lunghe file spumose: questo, che succede in tempesta, oggi non si verificherà. Le onde si combinano, si riuniscono, si lasciano, inventano paesaggi collinari che subito vengono rimpiazzati da nuovi e diversi avvallamenti e rilievi. Lo sguardo, da vicino, non sa dove fermarsi. Deve allungare la prospettiva. Arrivare fino all'orizzonte e sollevarsi al di sopra della sua linea seghettata che pare dare un confine fisico al mondo. Allora si incontrano le nuvole, batuffoli grandi e piccoli riuniti in gruppi, in file, isolati, talvolta carichi di pioggia. Qualcuno passa sopra di noi, altri nasconde talvolta il sole. Tutti si muovono incessantemente verso ovest. Arriveranno molto prima di noi. Sono stampate sulla volta semisferica del cielo. Non hanno tridimensionalità apparente, fanno parte della tappezzeria. Non ci stanchiamo di guardare tutte queste superfici, fin quando uno stormo di pesci volanti non ci risveglia con il suo volo da caccia in formazione che sfiora, appunto, la superficie dell'acqua.