19 Luglio 2012, h 17.43 - Nanni
Ci siamo abituati agli iceberg. Abbiamo dovuto. Sono dappertutto. La nostra navigazione è diventata uno slalom tra uno lungo e piatto e un altro che torreggia su di noi, tra uno che ha un lungo muro tagliato netto dal ghiacciaio e un altro con uno splendido arco che unisce le torri di un antico castello. Si spezzano, si capovolgono (anche se dobbiamo ancora vederne uno che lo fa), si sciolgono tutti lentamente portati via dalla corrente e talvolta si arenano su qualche fondale più basso. Vengono tutti da un grande ghiacciaio, lo Jakobshavn Isfjord, proprio accanto a Ilulissat. Ilulissat è il più indaffarato porticciolo in cui sia entrato. E' fatto da una scodella dietro una stretta entrata nella parte esterna di un fiordo lungo e sottile la cui estremità è bloccata da un ponte stradale. E' coperto da barche a motore e da pesca ormeggiate a delle boe mentre i corti moli sono occupati da altri pescherecci e piccoli traghetti affiancati all'inglese a quattro a quattro e vanno e vengono incessantemente. Dopo una notte passata precariamente affiancati a due barche a vela, una francese e un'altra australiana, troviamo un ormeggio più stabile accanto a un peschereccio vicino alla pompa di gasolio. Come al solito impegniamo il nostro tempo a collegarci a internet per la posta e le previsioni meteo e per consegnare il nostro "pacchetto scuola" alla scuola locale, al momento vuota per le vacanze estive. Cerchiamo di far gasolio alla pompa accanto a noi, ma è una specie di battaglia, perché nel tempo che impieghiamo a posizionarci con la prua verso il cortissimo pontone della pompa almeno quattro piccoli motoscafi si attraccano al nostro posto e cominciano a rifornirsi. Il pontone è a forma di L, lungo forse sette metri, e dobbiamo metterci con la prua verso terra tra la gamba della L perpendicolare a terra e le prue di un paio di pescherecci, con la poppa ben in mezzo alla coda di barchette che vengono a rifornirsi (l'indomani è sabato). Alla fine ci riusciamo. E' importante farlo qui perché non siamo sicuri di poterci rifornire a Upernavik e di sicuro non potremo farlo a Pond Inlet, la prossima tappa. A Ilulissat incontriamo per una breve e cordiale visita Silver, un italiano che vive qui da trent'anni e ha un'agenzia turistica e un negozio di regali e ci dà indicazioni utili per la visita a un ghiacciaio. Dopo aver riempito i serbatoi dell'acqua con altrettanta difficoltà ci risolviamo a passare qui anche la notte successiva: sta entrando la nebbia e siamo un po' stanchi. Partiamo la mattina presto (tra l'altro: pezzi di ghiaccio chiamati bergy bits entrano nel porto e colpiscono lo scafo durante la notte) col cielo sereno e una bellissima vista della baia. Il ghiacciaio che vogliamo visitare è nel gomito di uno stretto, cioè un fiordo con due entrate, che è quasi del tutto libero da ghiacci. Il ghiacciaio produce "bergy bits" ogni pochi minuti con poderosi tuoni. La baia nell'angolo del gomito è tenuta libera dai ghiacci dalla corrente di un rio che scende dalle montagne circostanti. C'è anche un piccolo insediamento con poche case, ma non vediamo nessuno. Siamo perfettamente soli nel mezzo del nulla. Tornare sulla nostra rotta è tutt'altra cosa. Ci sono pochi sondaggi e nessuno per l'uscita dal gomito. Nelle due ore che abbiamo passato qui la parte esetrna della baia si è riempita di "brash ice", una specie di granita compatta con pezzi grandi fino a mezzo metro. Non si sono ancora consolidati, ma la temperatura dell'acqua qui è a meno uno. Lo attraversiamo a velocità minima lasciando una corta scia che si richiude immediatamente dietro di noi. Poi dobbiamo affrontare due "stretti" tra alcune isole con il passaggio indicato da segnali sulle coste, ma neanche questi riportano delle sonde, nè allineamenti o altre indicazioni per il transito. Nel primo ci sono una roccia a fior d'acqua e un'altra sommersa. Lo passiamo con molta cautela col sonar in funzione che ci dà una profondità di cinquanta metri senza vedere le rocce, ma gli iceberg intorno ci impediscono una buona visione. Il secondo non ha indicate roccie, ma c'è una forte corrente benché il passaggio sia più largo e di fronte a noi c'è una strana linea sull'acqua come se ci fosse un fiume che passa sopra a una diga. Il fondo risale rapidamente e non abbiamo molto spazio per muoverci per la solita presenza di iceberg intorno. Questa volta passiamo su un fondale di sette metri e ci sentiamo meglio. Da qui entriamo nel Vaigat, lo stretto tra l'isola di Disko e la costa, pensando di aver lasciato dietro a noi la maggior parte del ghiaccio, ma non è così. Intanto ci accoglie una fitta nebbia, poi un gran numero di iceberg enormi ci bloccano a tratti la rotta, tanto che dobbiamo virare all'improvviso per evitarli. Ancora niente vento o vento in prua di pochi nodi. Fa freddo e umido e siamo in tensione. Riduciamo la velocità dai nostri normali sei nodi e mezzo e quattro nodi e continuiamo: Upernavik è ancora lontana un giorno e mezzo. We got used to icebergs. We had to. They are everywhere. Our navigation is a slalom between one flat and another one towering above us, one which has a long wall clean cut from the glacier and another with a magnificent thin arch connecting the two halves of an ancient castle. They break, they capsize (actually we have still to see one doing it), they all slowly melt drifting with the current and sometimes they get grounded on some less deep area. They come from a big glacier, the Jakobshavn Isfjord, just besides Ilulissat. Ilulissat is the busiest little harbour I have ever entered. It is formed by a bowl behind a narrow in the outer part of a thin fjord whose end you cannot enter because of a road bridge. It is covered with small fishing and motor boats moored to buoys and the short jetties host other fishing boats and small ferry three to four abreast. After a night tied to a French and an Australian sailboat we find a more suitable berth just besides the fuel station, fourth line. As usual we use our time to connect to internet sending messages, reading our mail and getting weather information and to deliver our "school package" to the local school, empty at the moment because of summer vacations. We try to get fuel at the nearby station, but is a kind of a battle, because in the time we spend unmooring and positioning for the very short pier at least four small motor boats fill the space and start fuelling. The pier is kind of L shaped, may be 7 meters each branch, and we have to enter bow first between a leg and the bow of two fishermen, with our stern well out in the way of the queue of the small motor boats (tomorrow is Saturday). In the end we succeed. It was important to do it here as we are not sure to be able to refuel in Upernavik and for sure we will not be able to do it at the next stop Pond Inlet. In Ilulissat we had a short and friendly meeting with an Italian living here since thirty years: Silver. He has a travel agency and a gift shop and has time to give us a useful hint for visiting a glacier on our way. After having taken water with another difficult manoeuvre we decide to sleep here for another night: fog is coming and we are tired enough. Early in the morning we leave the harbour (by the way: chunks of ice, called bergy bits, is coming in and is hitting our hull during the night) with a clear sky and a beautiful view of the bay. The glacier we are going to visit is at the bend of a sound, a fjord with a double entrance, all clear from ice up to the end near the glacier. The glacier is calving bergy bits every few minutes with loud thunders. The bay in the corner of the bend is kept clear from ice by the current of a stream flowing from the mountains around. There is a little settlement with a few houses, but no person is in sight. We are perfectly alone in the middle of nowhere. Getting back in our way is a different story. Few soundings are available and none to exit from the bend. In the couple of hours we have been here the outer part of the bay has been filled with ice, not only some icebergs and bergy bits but also a wide belt of what is called brash ice, a kind of layer of chunks of ice up to half a meter in size, packed together. They are not yet consolidated but the water temperature here is minus one. We cross at the lowest speed leaving a very short wake that closes immediately. Then we have to pass two "straits" indicated as passages by marks on the coast, but no alignments or other directions. In the first there are a rock awash and another submerged, but with no soundings. We pass it carefully with our sonar giving us a depth of more than fifty meters, without seeing any rock, but there are as usual a lot of icebergs around and we can't see clearly. The second has no rocks marked, but we feel a stronger current despite it being wider and in front of us a line of strange water, as you could see on a river flowing above a dam. The bottom is raising steeply and we do not have much space to move because of the usual icebergs. This time we pass with seven meters depth and we fell better. When we enter the Vaigat, which is the channel between the island of Disko and the coast, we think to have left the majority of the ice behind us, but it is not so. First, a thick fog is waiting for us, than a number of very large icebergs at times block our course and we have to alter it suddenly to avoid them. Still no wind or a head wind of a few knots. It is cold and damp and tense. We reduce our speed from the usual six and a half to four knots and we carry on: Upernavik is a day and a half away.