Sono le sei del mattino, ora della barca. Non l'abbiamo cambiata da più di quindici gradi fa, più dello spazio di un fuso orario. Se si va verso ovest, nel senso del corso del Sole, si rincorre il tramonto, che arriva ogni giorno un po' più tardi, come fa l'alba. Così stamattina si avvertono appena i segni del sorgere del sole dall'impallidire impercettibile delle stelle. Attendiamo con pazienza che la luce aumenti, perché verso la prua, a occidente, vicine, ci sono le Marchesi. Passa un'ora e all'orizzonte, che stamattina è eccezionalmente brumoso, si intravede una forma più scura: Hiva Oa! Salvatore e io non siamo emozionati, è curioso, dopo venticinque giorni di mare ci aspettavamo di provare un sentimento più forte. Gli altri accolgono la notizia con una gioia più evidente. Ci avviciniamo. L'isola prende chiaramente forma. Da questa parte, l'oceano batte incessantemente le pareti ripidissime coperte di verde, sollevando poderosi getti di spuma candida sulle rocce della base: impossibile avvicinarsi. In fondo, la lunga costa dentellata si chiude in una baia aperta verso gli alisei, che nasconde nel suo angolo di nord est il "porto" di Tahauku, presso Atuona, la capitale delle isole. La preoccupazione dell'ancoraggio mi occupa la mente fin dal primo avvistamento: non abbiamo la possibilità di usare il motore, forse abbiamo perso l'elica. Come sarà la baia? Affollata? Stretta? E il vento? Renderà possibile la manovra? Ci sarà risacca? Ci affacciamo alla baia. È davvero affollata, più di venti barche sono all'ancora, molte con un'ancora di poppa, che le tiene con la prua verso il largo e che renderà le manovre più complesse. La baia si trova in fondo a una valle verdissima. Tutti i fianchi delle montagne sono coperti da una vegetazione rigogliosa, davvero tropicale. Sui lati si ergono picchi verticali che terminano nelle nuvole vorticose dell'aliseo. Lo scenario è magnifico, ma non ora! Guarderemo dopo.
Impartisco gli ordini: l'equipaggio è attento, consapevole del rischio di commettere un errore e del pericolo nascosto dietro un ritardo nelle manovre. Siamo sotto randa soltanto. "Issa la trinchetta" "Issata" "Pronti alla vira" "Pronti" "Vira"
I comandi si susseguono a ritmo ravvicinato. Le barche sono vicine, gli spazi di manovra si contano in poche decine di metri. Il vento, debole, viene giù a raffiche dai fianchi dei monti e se ne indovina la direzione solo dal brivido della superficie del mare. I bordi si susseguono ai bordi. C'è da manovrare e insieme da individuare dove gettare l'ancora: non avremo una seconda possibilità. Venti metri di catena sono abbisciati sul ponte, per aver la certezza che l'ancora tocchi fondo e agguanti in ogni caso non appena dato l'ordine. Ecco: ora! "Ammaina la trinchetta. Cazza la randa". Pietro e Alice eseguono impeccabilmente. "Adesso: ammaina la randa". Viene giù di colpo, anzi no! Accidenti, c'era una stecca rotta che è uscita dalla tasca e impedisce alla randa di scendere. Non ho tempo di occuparmene. "Salvatore, dài fondo, ora" La catena scorre nella cubìa. Enrico è all'albero ad aiutare Pietro ad ammainare la randa che finalmente scende del tutto. Alice cazza le scotte per fermare l'oscillazione del boma. Salvatore controlla lo scorrere della catena. Siamo ancorati. Ma non è ancora finita, dovremo calare in acqua il canotto per portare anche noi un'ancora a poppa, ma siamo alle Marchesi, definitivamente, in salute e in buono spirito. Stasera scenderemo a terra e ci concederemo una cena con tanta, tanta birra gelata!