Giorni e giorni di attesa, che Enrico trovi il volo di rientro, che l'unica banca apra per cambiare i dollari in franchi polinesiani, che internet sia disponibile per ricevere notizie da casa, che le due bancarelle del paese abbiano un po' di verdura fresca, che il mare lungo che entra prepotentemente nella baia si attenui un poco. Quest'ultimo soprattutto. L'onda lunga sposta inesorabilmente la barca avanti e indietro di molti metri e rende difficile immergersi nell'acqua torbida della baia. Eh si. Bisogna montare l'elica di rispetto: la nostra è stata persa appena partiti dalle Galapagos. Succede. Spesso. Senza preavviso, dopo anni di servizio e fissata così fortemente che per smontarla ci voleva una lunga leva e tutta la propria forza. È deciso, si tenta di fare il lavoro nelle condizioni attuali. Finalmente l'elica è sull'asse. La difficilissima operazione è riuscita a prezzo di lividi e graffi e senza perdere nessun pezzo e nessun utensile. Poi è arrivata la nave dei rifornimenti per l'isola e ha occupato la banchina dove dobbiamo andare a rifornirci di acqua. La baia è bella, il clima piacevole, in barca ci sono molte cose da fare, ma bruciamo d'impazienza per visitare altre isole e incontrare altra gente. Stanotte la nave è ripartita: fra poco salpiamo. Siamo solo in due e ci prepariamo coscienziosamente alle operazioni, che normalmente facciamo almeno in tre. Prima cosa: salpare l'ancora di poppa che ci tiene con la prua nella direzione delle onde. Facile: l'ancora è abbastanza leggera. Ma non viene su, non si "speda". Mi immergo in apnea, la bombola che portiamo con noi non ha più aria, l'abbiamo usata tutta per l'elica e qui non la ricaricano. L'ancora ha agganciato una gabbia di metallo piena di pietre, di quelle che si mettono per contenere le frane. Che cosa ci fa sul fondo della baia? Ci è penetrata dentro per benino. Qualche altro livido, il fiatone e l'ancora è libera. Ora quella di prua. Anche lei è agganciata a un copertone e a diverse cime buttate sul fondo, ma almeno è venuta in superficie. Anche lei è libera, ora. Abbiamo perso solo un'ora e mezza. La banchina è fatta per le navi: una piattaforma di cemento sospesa sull'acqua a due metri di altezza, non facile, ma noi siamo vecchie volpi (di mare) e Salvatore da terra e io in barca ormeggiamo in un batter d'occhio. Il carico d'acqua è fatto in un paio d'ore: nel frattempo una famigliola di donne è venuta a pulire la piattaforma con un idrante e ci ha tolto l'acqua per un bel po'. Oggi i negozi sono chiusi, perché è l'Ascensione, festa per tutti, così niente provviste fresche: non importa, non restiamo qui un minuto di più. Salpiamo per l'isola qui a sud. Una decina di miglia. Su la randa, svolto il fiocco, siamo per via. Il vento è debolino, 10 nodi al massimo, ma Best Explorer è valente e malgrado la stazza procede a cinque nodi. Il capo più a sud di Hiva Oa ci passa accanto con le sue impressionanti falesie battute costantemente dalle lunghe onde oceaniche che rimanda indietro regalandoci un mare confuso e disordinato. Ma anche un dorade di cinque chili, proprio sulla sua punta, che salta e si immerge dentro e fuori dall'acqua prima di arrendersi ed essere pietosamente e rapidamente finito da una dose di alcol versata sulle branchie, il sistema più rapido per por fine alle sofferenze, che ci aveva insegnato Gianni. Liberi dal capo, il mare si distende e se non ci fosse l'onda lunga di fondo ci parrebbe quasi di essere nelle acque di casa nostra. L'isola di Tahuata, dove siamo diretti, è diversa da ogni altra che abbiamo visto nella nostra lunga carriera di mare. Alte montagne verdi coperte di erba in basso e da alberi in alto scendono verso il mare in creste e alture sparse disordinatamente. La costa è un susseguirsi di rocce a picco e scogli multicolori, dalla tonalità rossa predominante che lasciano il posto a baie sabbiose dalla spiaggia orlata di palme da cocco non appena essa piega verso sud scostandosi dalle onde e dai venti dell'Aliseo. La nostra meta è subito "dietro l'angolo" una baia da cartolina, con una sola abitazione seminascosta tra le palme e tre barche all'ancora, fondo di sabbia chiara e montagne ripide e verdi a chiuderla. Diamo fondo all'ancora alle sei precise, nel momento esatto in cui il sole scompare dietro l'orizzonte: anche oggi ci è negato il "raggio verde", peccato. Finiamo le operazioni in fretta: in meno di mezz'ora è notte e il cielo si popola di stelle nel buio quasi assoluto. Solo l'onnipresente onda lunga e lo sciabordio delle onde contro lo scafo ci ricordano di essere in barca. Puliamo il pesce alla luce delle lampade frontali. Siamo cotti dal sole che ci ha irraggiato per tutto il giorno e ci ristoriamo con la brezza fresca della notte. Il cielo si scurisce e le nuvole coprono rapidamente le stelle. Andiamo in cuccetta mentre un acquazzone lava il ponte della barca. Domattina, se ci sarà il sole, un tuffo nell'acqua chiara della baia non ce lo leva nessuno!"