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Hanatefau


Il sole sta per tramontare, ancora nascosto dietro una banda di nuvole scure sopra l'orizzonte, ma trova il modo di lanciare nel cielo una festa di raggi dorati che soffondono di una luce calda la baia e le rocce dietro di noi. L'orizzonte taglia di netto la superficie calma del mare, che rabbrividisce sotto la spinta dell'aliseo scurendosi in lontananza.

Se non fosse per le lunghe ondulazioni che trascinano inesorabilmente la barca avanti e indietro potremmo credere di essere in Mediterraneo. Ma basta che ci giriamo e l'illusione scompare, se pur fosse durata qualche secondo: dietro di noi il panorama è tutto fuori che mediterraneo. Siamo in una baia dall'esotico nome di Hanatefau, una semplice curva sotto una falesia nera e precipite nell'isola di Tahuata, subito a sud di Hiva Oa. Una parete quasi verticale di trecento metri di basalto nero è incoronata in cima da una linea continua di alberi. Mostra solo alcuni tratti di roccia perché il resto è coperto anch'esso da pandani, frangipani, banani e chissà cos'altro, che continuano verso l'alto la fascia fitta di palme da cocco che nascono sopra le rocce arrotondate della linea di costa. Sono seguite subito sopra dai manghi e dai pandani, che hanno le radici piantate in terra come fossero un fascio di bastoncini allargati a sostenerne il peso sulla ripida scarpata di base. Lungo la fascia di rocce nere le onde si frangono con un rumore cupo e profondo, lentamente ritmato, mentre il vicino sciabordio delle ondine provocate dal vento risuona di una nota più frusciante e argentina.

In mare i piccoli delfini che hanno compiuto vicino a noi acrobazie tutto il pomeriggio sono andati via. Sotto la superficie immaginiamo che si stiano preparando alla notte anche i colorati pesci della fascia costiera, che abbiamo visto aggirarsi indaffarati tra le madrepore che punteggiano le rocce.

A sud la baia prende un altro nome, separata dal lobo meridionale da un contrafforte affilato che scende fino in mare dalla cima della parete di basalto. Sul contrafforte a qualche decina di metri di altezza una grande croce bianca segna il sito del cimitero. Il simbolo cristiano è sovrastato, in prospettiva, da un'inquietante roccia alta sullo sfondo del cielo che ricorda la testa di un Moai, una delle sculture titaniche dell'isola di Pasqua, eretta in silenziosa vedetta. È quasi certamente naturale, ma l'illusione è perfetta e inquietante. Più lontano si sono già accese le poche luci di un piccolo villaggio. Senza di esse potremmo cullarci nell'illusione di essere gli unici esseri umani rimasti ad abitare una terra ritornata allo stato primitivo dopo che i misteriosi giganti che l'abitavano si sono nascosti alla nostra vista nelle caverne battute dal mare in attesa di tornare a riprendere possesso delle loro isole.

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