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Panico a Taravao


Tahiti ha la forma di un otto, l’occhiello piccolo, a sud est, si chiama Tahiti Iti, che vuol dire Tahiti piccola, ed è congiunto a Tahiti Nui, Tahiti grande, da un istmo che se i ghiacci polari si dessero una mossa verrebbe rapidamente sommerso.

L’istmo è protetto dalla barriera corallina, com’è giusto da queste parti, ma siccome forse desidera davvero essere sommerso, ha lasciato che l’acqua della laguna lo invadesse quasi tutto, regalando ai diportisti un riparo formidabile, dove non entra neanche la più grande onda del Pacifico.

O almeno così io spero, perché è qui che Best Explorer passerà i prossimi mesi aspettando di fare toilette l’anno prossimo.

La marina è un po’ isolata e così ho atteso l’ultimo momento per recarmici: sono trenta miglia da Papeete, tutte, come sempre, contro mare e contro vento e questa volta solo soletto, senza le vele che sono già piegate e riposte all’interno e senza i gommoni, anch’essi sistemati in coperta.

Partenza alle cinque di mattina, col buio, per arrivare prima della chiusura del cantiere alle 12, qui sono ancora meno lavoratori che in Norvegia, ed è tutto dire! Mare lungo e abbastanza alto da sud, ma poco vento, per fortuna.

L’ingresso in laguna è strettissimo, ma subito calmo. In tempo per il cantiere, a dispetto di una megattera con piccolo che valeva la pena seguire per qualche minuto!

Pronte la cime d’ormeggio e pronti i parabordi non resta che alzare la deriva, perché la marina del cantiere è profonda solo due metri. Pronti? Su!

Puff. Si spegne tutto: plotter, strumenti, pilota automatico, poi si riaccendono. Ma che diavolo …!

Riprovo, si rispegne tutto e questa volta gli strumenti non si riaccendono.

Panico!

Cerco un posto abbastanza largo per fermarmi senza finire sugli scogli: sono solo e non posso essere contemporaneamente sotto e sopra coperta

Controllo la deriva: è completamente abbassata.

Provo ad alzarla a mano, ma non l’ho mai fatto prima e la pompa a leva non funziona. Armeggio con le varie valvole col solo risultato di spargere in sentina un po’ di olio idraulico.

Non mi resta che telefonare in cantiere: avevo appena ricaricato la schedina telefonica, meno male.

Con la massima indifferenza mi dicono di infilarmi tra due barriere metalliche e ormeggiarmi lì, a lunediii, au revoir!

Non c’è nessuno a sentirmi e quindi non c’è gusto a strillare improperi, sto zitto e mi preparo a un ormeggio molto difficile: tanto per migliorare le cose si è anche alzato il vento che soffia di traverso alle barriere.

Sono preparato: assi di legno al di fuori dei parabordi, cime d’ormeggio, catene, fiducia smisurata nella mia capacità di infilarmi con questo gigante da venticinque tonnellate nei buchi più minuscoli, e via.

Le barriere sembrano residuati bellici, la ruggine è sicuramente d’epoca.

Mi infilo e la prua arriva a due metri e mezzo di fondo, la barca pesca tre e si ferma. Afferro come posso una cima e mi avvicino alla temibile dentatura arrugginita che porta due assi traballanti al suo esterno come tutta passerella. Scendo con circospezione per non farmi male e riesco una dopo l’altra, con calma, a legare tre cime per lato e a sistemare correttamente Best Explorer disincagliandola anche per bene.

Scendo all’interno e il panico mi riassale: il voltmetro fa salti impazziti da 10 volt a 40! Ma cosa sta succedendo?

Ferma! Ragiona! Spengo tutto: stesso comportamento, salvo che ora non scende sotto i 28 V.

O le batterie sono impazzite oppure …

Mi viene all’improvviso in mente la soluzione: un pezzo di ferro deve aver creato un corto circuito sul motore della deriva e deve aver fatto saltare il fusibile a protezione dell’impianto. I salti del voltaggio sono causati dai pannelli solari i cui regolatori reagiscono con un po’ di ritardo.

Mi rilasso: uno spuntino e dopo pranzo, con la dovuta prudenza verifico l’ipotesi, che è corretta, riparo il guasto e sollevo la deriva, e insieme il mio spirito: lunedì potrò prendere l’aereo per l’Italia!

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