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Una spiaggia nel bel mezzo dell'Oceano


Spiagge

Soli!

Ci sono spiagge e spiagge.

Rimini, piuttosto che non Alassio.

Oppure Beveridge Reef.

Lì potreste anche essere sulla Luna: immagino che la sensazione di insolito sia la stessa.

La spiaggia, forse sarebbe più esatto dire: la duna, compare col calare della marea. Il resto del tempo è sott’acqua. Non sarebbe apprezzata dagli albergatori romagnoli.

Invece noi siamo rimasti incantati.

Avevamo provato a raggiungerla ieri sera, ma la marea non era scesa abbastanza e il sole calante ci ha costretto al ritorno in barca.

Stamattina, quasi calma di vento, col gommone che planava sulle ondine, ci siamo arrivati in una decina di minuti. Era molto più distante di quanto non sembrasse. Subito al di qua della linea dei frangenti, che sono il nostro confine attorno all’incredibile barriera sommersa che delimita e costituisce Beveridge Reef, quasi invisibile e irreperibile in mezzo al Pacifico.

Abbiamo trascinato il gommone sulla sabbia bianca, tutta formata da frammenti di conchiglie e di madrepore. L’abbiamo ancorato al culmine della duna e ci siamo incamminati uno a destra e l’altro a sinistra, come per impadronirci di una terra incognita. Ed incognita lo era davvero: noi eravamo oggi certamente i primi a mettervi piede, visto che si rinnova e rinasce ogni dodici ore.

Striata da linee di frammenti di corallo e di conchiglie depositate dove sono arrivate le ultime onde più alte mentre il mare si ritirava, la duna si allunga sinuosa al di qua dei frangenti, che oggi sono particolarmente delicati.

Tra lei e loro si stende una cinquantina di metri di vecchio corallo lisciato dalle onde, abitato da pochi piccoli pesci. La schiuma penetra frizzante su questa piattaforma ad ogni onda e tenta di far perdere l’equilibrio all’intruso che si inoltra temerario verso l’oceano aperto nella speranza di potercisi tuffare.

Il bordo della barriera è frastagliato e non si capisce se non celi coralli taglienti che sarebbero micidiali se le onde ci trascinassero sopra. È necessario rinunciare.

Tra le creste trasparenti sfreccia un lampo azzurro e giallo: è un grosso pesce in caccia. Lui non teme la risacca: è perfettamente adattato al suo ambiente. Guardiamo incantati la caccia fulminea, finché non scompare dietro le creste frangenti.

I colori brillanti della laguna si confondono verso nord (siamo ben nell’emisfero australe!) nell’argento liquido della scia del sole.

Non c’è segno di vita umana intorno a noi, chissà per quante centinaia di miglia. Sensazione a un tempo esaltante e inquietante. Non ce n’è traccia neppure sulla sabbia, oltre alle nostre orme. Che sollievo camminare in un luogo incontaminato, senza neppure l’ombra di un residuo della civiltà.

Mi siederei volentieri sull’orlo della duna con i piedi nell’acqua calda della laguna a contemplare per ore questo ambiente incredibile, dimentico di tutto eccetto che della bellezza ultraterrena del Reef.

Ma no, non possiamo restare più a lungo. Il tempo è favorevole e se non partissimo ora non arriveremmo in tempo ad ottenere i necessari permessi di sbarco a Niue, nostra meta. La nostra vita maledettamente preordinata ci tiene nella sua morse ferrea e non ci lascia evadere che per qualche attimo.

Siamo dei privilegiati ad aver potuto godere di tanta meraviglia. Poveracci quelli che non ci hanno raggiunto, hanno perso una gita in paradiso, un’occasione che non potrà forse mai più ripetersi. Quante occasioni simili ci si sono presentate finora, non sempre così particolari, ma sempre rare ed esaltanti. Chissà, forse dipende dal nostro modo di viaggiare e dal nostro modo di sentire. Se è così, sicuramente il futuro ci riserva una quantità di altre occasioni che coglieremo con immutata gioia e meraviglia.

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